Sorpresa! Una parte della Via Lattea è più antica di quanto pensassimo: è nata “poco dopo” il Big Bang

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La nostra Via Lattea è più antica del previsto: una parte, quella nota come ‘disco spesso’ ha vissuto l’”adolescenza” 13 miliardi di anni fa, ovvero “appena” 0,8 miliardi di anni dopo il Big Bang. Lo dimostra l’analisi di un nuovo set di dati della missione Gaia dell’Agenzia spaziale europea (Esa) analizzati da un gruppo di ricerca del Max Planck Institute for Astronomy (Germania).


I ricercatori hanno fornito la migliore ricostruzione dell’”adolescenza” della nostra galassia natale, il periodo tra circa 13 e 8 miliardi anni fa, quando la Via Lattea visse in modo molto “frenetico”, fondendosi con altre galassie e consumando molto idrogeno per formare nuove stelle, prima di avviarsi ad una vita più tranquilla per i successivi 8 miliardi di anni fino ad oggi.

L’analisi dei dati è stata condotta con una precisione senza precedenti, attingendo a quelli tra i più recenti. Il nuovo studio costituisce quindi un grande passo avanti inserendo date molto più precise sulle diverse fasi della prima storia della Via Lattea e determinando l’età di 250.000 stelle.

Come spiega l’Istituto, per quanto ne sappiamo finora, la nostra galassia natale ha attraversato diverse fasi:

  • la “fase del bambino” (non un termine astronomico ufficiale), quando piccole galassie progenitrici ricche di gas si sono fuse per formare un conglomerato successivamente cresciuto nella nostra Via Lattea, quello che ora vediamo come il cosiddetto disco spesso, gas e stelle  per 100.000 anni luce di diametro e 6000 di spessore.
  • le fasi intermedie, una serie di fusioni aggiuntive con galassie leggermente più piccole della Via Lattea che hanno creato il cosiddetto alone stellare che circonda il disco della Via Lattea
  • gli “anni adulti” molto più tranquilli, che coinvolsero una costante attività di formazione stellare nel cosiddetto disco sottile, più giovane e spesso solo 2000 anni luce circa

Ecco, i risultati di oggi aggiungono tasselli determinanti alla fase iniziale, avvenuta con la determinazione dell’età di 250.000 stelle, in astronomia tutt’altro che un compito facile, se non con le cosiddette ‘sottogiganti’, per le quale si può fare osservando la temperatura e la luminosità della superficie di una stella.

via lattea più antica del previsto

@Max Planck Institute for Astronomy

Finora è stato sempre molto complicato usarle, perché solo una piccola percentuale delle stelle nella nostra Via Lattea si trova in quella breve fase della loro vita. Ed è qui che interviene la tecnologia: le più recenti indagini complete forniscono infatti dati di alta qualità per un numero impressionante di stelle, sufficienti per includere numerosi esempi anche dei tipi più rari di stelle.

In particolare The Early Data Release 3 della missione Gaia dell’ESA, pubblicato a dicembre 2020, fornisce dati di posizione e distanze per quasi 1,5 miliardi di stelle e il settimo rilascio di dati dell’indagine LAMOST, pubblicata nel 2021, oltre 9 milioni di spettri stellari contenenti informazioni sulla temperatura e sulla composizione chimica delle stelle.

Leggi anche: Quasi 2 miliardi di stelle intorno a noi: il satellite Gaia ci mostra lo spettacolo della Via Lattea in 3D

Combinando le informazioni di questi sondaggi, in ricercatori sono quindi a riusciti a ricostruire il loro ampio set di dati di stelle con età note, verificando che un picco di formazione stellare prominente nel disco spesso 11 miliardi di anni fa coincidente con l’apparizione improvvisa di numerose stelle le cui orbite erano cambiate improvvisamente e drasticamente.

Dopo la fine dell’era turbolenta dominata dalla fusione, l’analisi suggerisce che il disco spesso ha continuato a formare stelle in un modo insolitamente produttivo, suggerendo come questo contenesse quantità impressionanti di gas e ciò spiegherebbe anche il suo spessore.

E tutto questo “turbinio di vita” sembra avvenuto a partire da 13 miliardi di anni fa, “solo” 800 milioni di anni dopo il Big Bang. Un’adolescenza convulsa piuttosto antica dunque.

Il lavoro è stato pubblicato su Nature.

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Fonti: Max Planck Institute for Astronomy / Nature

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