C'è poco bianco e tantissimo nero in casa Juventus, reduce dal clamoroso tracollo 0-3 in casa contro il Milan e con l'obiettivo Champions più distante, incredibile legge del contrappasso per chi negli ultimi nove anni in Italia aveva semplicemente dominato portando a casa scudetti a raffica. Uno scudetto, quello di quest'anno, che è invece finito all'Inter dell'ex Antonio Conte, proprio lui che aveva gettato le basi per l'inizio della dittatura juventina, e che adesso fa felice il popolo interista.


La Juve si interroga, confusa e disorientata in un ambiente che non è il suo, quello della lotta punto a punto per conquistare un traguardo. E le domande sono in tanti a farsele, in una lunga catena di errori e contraddizioni che alla fine presentano il conto.

Le scelte

Come in ogni catena di comando, le scelte vengono fatte dall'alto e, a cascata, producono effetti verso il basso. Non solo quest'anno, ma a partire dall'estate 2019. I veri guai sono iniziati lì, con la decisione di fare a meno di Massimiliano Allegri, l'uomo che aveva preso in mano la Juventus dopo il burrascoso addio di Conte, e capace di aggiungere cinque scudetti consecutivi ai tre del predecessore. Ma là in alto qualcuno storceva il naso per un gioco poco spettacolare e troppo focalizzato sul risultato. Con una squadra così si potevano e si dovevano unire le due cose, vincere dando spettacolo. Chiavi in mano a Maurizio Sarri, il cui scarso feeling con l'aristocrazia bianconera è apparso evidente fin da subito. Ha vinto, anche lui, portando a nove i tricolori consecutivi, ma da separato in casa. Era l'uomo scelto da Nedved e Paratici, con Andrea Agnelli che nel giorno della presentazione se ne stava tra il pubblico. L'eliminazione dalla Champions ha fatto il resto, e il presidente si è preso la responsabilità di scegliere in prima persona il successore: Andrea Pirlo, passato da allenatore dell'Under 23 a Ronaldo nello spazio di una settimana. Maestro sul campo e Predestinato in panchina, certe etichette appiccicate fin da subito non hanno portato bene, e il suo calcio fluido e dinamico è rimasto nel cassetto, a conferma del principio per cui chi è stato un grande sul campo non è detto lo sia anche in panchina. Non subito, almeno, non senza aver mai allenato nemmeno i ragazzini. Pirlo, alla sua prima esperienza in assoluto, ha pagato tutto e subito, finendo nel tritacarne del calcio che non guarda il cognome ma solo i risultati. 

Andrea Pirlo, al suo primo anno sulla panchina della Juventus

Calcio, Serie A: Juventus-Milan, Andrea Pirlo

Andrea Pirlo, al suo primo anno sulla panchina della Juventus

Nicolò Campo / IPA

Acquisti sbagliati

Pare che Maurizio Sarri, al momento dell'esonero, abbia tirato fuori di fronte ai dirigenti che lo stavano mandando via una definizione tanto stringata quanto clamorosamente preoccupante: «Questa squadra è inallenabile». Lo sfogo di un marito tradito o la verità di un allenatore, inteso nel senso letterale del termine? Perché Sarri potrà piacere o meno, ma resta uno di quelli che insegna calcio, e se è arrivato a definire così la Juventus un motivo ci sarà. 

Se poi prendiamo le ultime parole di Andrea Pirlo («All'inizio pensavo di avere una squadra diversa, poi ho dovuto adattarmi»), ecco i famosi due indizi che fanno una prova. Entrambi, così diversi per età, personalità ed esperienza, si sono trovati a dire la stessa cosa. Una squadra costruita male che si è avvitata attorno a Ronaldo, allo stesso tempo valore aggiunto e limite insuperabile per chi ha in testa certe idee. Impossibile metterlo in discussione, i gol li ha sempre garantiti e in grande quantità, ma la Juventus degli ultimi due anni è stata prigioniera del suo giocatore più forte. Una contraddizione difficile da risolvere, quando in campo hai un extraterrestre che ha scritto gli ultimi 20 anni di calcio ma è anche il freno per l'idea di calcio di chi lo allena. Ogni pallone passa da lui perché deve passare da lui, chi gli sta attorno deve adattarsi, chi sta in panchina deve adeguarsi. Finché arrivano i risultati si può fare, senza diventa tutto più difficile. E senza Champions League difficilmente uno come Ronaldo resterà in bianconero: lui vuole restare ai vertici, la Juventus non può permettersi di pagare altri 31 milioni netti avendo i conti pericolosamente in rosso.

Cristiano Ronaldo, 99 gol in 130 partite con la Juventus

Calcio, Serie A: Juventus-Milan, Cristiano Ronaldo

Cristiano Ronaldo, 99 gol in 130 partite con la Juventus

Pacific Press/SIPA / IPA

Immagine a picco

A tutto questo va aggiunta anche un'immagine che la Juventus dovrà ricostruire. Troppe le volte negli ultimi mesi in cui è finita sulle prime pagine e non per meriti sportivi. Dal pasticcio per il caso Suarez alla figuraccia planetaria per la Superlega, progetto nato e archiviato nel breve spazio di 48 ore. Per tutti, o quasi, perché proprio la Juventus, insieme a Real Madrid e Barcellona, non molla l'idea, pronta a sfidare la Uefa rischiando di andare incontro a pesanti sanzioni. Agnelli vuole difendere il principio, di per sé tutt'altro che sbagliato ma comunicato come peggio non si poteva, e per farlo ribatte colpo su colpo, un comunicato dietro l'altro in risposta a Nyon. L'immagine della Juventus ne ha risentito, e la presenza di John Elkann prima al campo di allenamento e poi sulle tribune dello Stadium la dice lunga sull'aria di crisi che soffia da quelle parti, con una rivoluzione al vertice che da possibile si sta facendo sempre più probabile, tra candidati già individuati e nuovi assetti già disegnati. E che l'eventuale mancata qualificazione alla Champions League farebbe scattare come una tagliola. 

La dirigenza bianconera al completo: da sinistra Paratici, Nedved, Agnelli, Elkann e Cherubini

Calcio, Serie A: Juventus-Milan

La dirigenza bianconera al completo: da sinistra Paratici, Nedved, Agnelli, Elkann e Cherubini

Nicolò Campo / IPA

LEGGI ANCHE:

La Super League perde i pezzi e naufraga: è già la fine della Superlega

Uefa, quali sanzioni rischiano le squadre della Super League

Addio Juventus, ecco tutti i giocatori che potrebbero andarsene a fine stagione