Brasile, nell’era Bolsonaro prosegue il furto di terre ancestrali degli indigeni Xokleng

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Il Brasile è oggetto dell’ennesimo caso giudiziario, di portata storica per coloro che difendono i diritti territoriali degli indiani Xokleng – popolo indigeno perseguitato sin dai secoli XIX e XX, il cui territorio è stato invaso e occupato per far spazio ai coloni europei per decisione del governo brasiliano. Dall’inizio del XX secolo, intere comunità Xokleng sono state costrette alla delocalizzazione forzata a seguito di una vera e propria “caccia all’uomo” condotta nel sud del paese. 


La “caccia ai Pellerossa” dei coloni europei

Nel secolo scorso, il governo brasiliano sosteneva e finanziava un’apposita “milizia per la caccia agli Indiani”, che portò ad una drastica accelerazione del furto di terra ad uso coloniale da parte dei non-autoctoni. La milizia, incaricata dello sterminio dei popoli indigeni, perseguitò gli Xokleng con grande violenza per evitare che interferissero con il processo di colonizzazione. I coloni tedeschi, irritati dai tentativi degli Xokleng di difendere i propri territori, erano soliti condurre crudeli “spedizioni punitive” per neutralizzarne la pericolosità.

Nei decenni successivi, l’estensione del territorio degli Xokleng si ridusse notevolmente e negli anni ’70 fu eretta una diga nella piccola porzione restante.

La lotta degli indigeni Xokleng

Tuttora, quelle terre ancestrali storicamente sottratte (e finora mai restituite) agli indigeni Xokleng a causa del colonialismo europeo non sono mai state adeguatamente mappate; il dipartimento del governo per gli affari indigeni, legato all’organizzazione Fundação Nacional do Índio (FUNAI), è stato scorporato dal Ministero della Giustizia e il compito di mappare i territori indigeni è stato affidato al Ministero dell’Agricoltura, controllato da politici anti-indigeni legati, non a caso, alle lobby dell’agroalimentare.

Il governo brasiliano guidato dal Presidente Jair Bolsonaro non intende mettere fine a questa ingiustizia storica; anzi, ha avviato un progetto di sistematica sottrazione delle terre ancestrali alle comunità locali, stavolta per fare spazio all’agro-business e alle compagnie minerarie e per realizzare presunti progetti di “sviluppo”.

Se gli Xokleng dovessero vincere la causa legale, potrebbero riacquistare il diritto a possedere gran parte della loro terra ancestrale. In caso contrario, invece, la sentenza della Corte Suprema brasiliana potrebbe dare luogo ad un importante precedente, con conseguenze devastanti sulla dignità e sulla stessa sopravvivenza dei popoli indigeni di tutto il Brasile.

Il sogno di rioccupare le terre perdute

Nello stato federale di Rio Grande do Sul, gli Xokleng Konglui, un’altra comunità Xokleng, ha invocato la cd. retomada (“rioccupazione”) della loro terra, che oggi ospita un parco nazionale e che in futuro, secondo i piani dell’attuale governo, potrebbe diventare un’appetibile meta dell’ecoturismo.

Il caso succitato, tuttavia, ruota attorno alla sospensione della demarcazione del Territorio Indigeno Ibirama La Klãnõ — che si trova nello stato di Santa Caterina, nel Brasile meridionale — a causa di un’azione legale presentata da un gruppo di residenti non-indigeni e da una società specializzata nel taglio del legno operativa nell’area.

I querelanti hanno fondato il loro ricorso — su cui si dovrà esprimere la Corte Suprema brasiliana — sul cd. “trucco del limite temporale” (marco temporal in portoghese), secondo cui i popoli indigeni che al 5 ottobre 1988 (data di promulgazione della Costituzione brasiliana) non abitavano fisicamente sulle loro terre, avrebbero automaticamente perso il diritto a viverci e a reclamarle. Gli Xokleng, in effetti, al 5 ottobre 1988 risiedevano ormai solo in piccole porzioni del territorio originario e pertanto, secondo Bolsonaro e altri politici anti-indigeni, essi non avrebbero più diritti su gran parte di quelle terre ancestrali.

La dubbia tesi del marco temporal

Qualora dovesse prevalere la controversa tesi del marco temporal, la Corte renderebbe definitiva l’espulsione degli Xokleng dai territori reclamati e legittimerebbe secoli di sfratti subiti dai popoli indigeni di tutto il Brasile. Quel grave furto di terre ancestrali (che in teoria sarebbero appartenute di diritto a centinaia di migliaia di comunità indigene e alle popolazioni tribali) sarebbe quindi pienamente e definitivamente legittimato e la proprietà dei territori indigeni già esistenti, invece, potrebbe essere messa in seria discussione.

Come riferito nel comunicato stampa dell’organizzazione Survival Intenational, Brasílio Priprá, un importante leader Xokleng, ha dichiarato che:

“Se nel 1988 non vivevamo in una particolare parte del territorio, non significa che fosse ‘terra di nessuno’ o che non avremmo voluto essere lì.” […]. “Il ‘Marco Temporal’ rinforza una violenza storica che continua ancora oggi a segnarci.”.

Le organizzazioni indigene e i loro sostenitori, tra cui Survival International, hanno sollevato forti critiche al marco temporal già nel 2017. Lo considerano illegale poiché violerebbe l’attuale costituzione brasiliana e il diritto internazionale, che garantiscono ai popoli indigeni pieni diritti sulle loro terre ancestrali.

Sembra che il Presidente Bolsonaro stia facendo regredire il Brasile in materia di protezione dei diritti territoriali degli indigeni. Il governo in carica rinnega il diritto all’auto-determinazione dei popoli indigeni e vuole svendere i loro territori alle compagnie minerarie e alle società specializzate nel taglio del legno, perseguendo, nel contempo, una politica assimilazionista dai toni velatamente razzisti, aggravata dalla pandemia da Covid-19, che sta mietendo numerose vittime tra la popolazione indigena per mancanza di assistenza sanitaria.

Fonte: Survival International

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