Otto cose da sapere sul sakè

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Grazie a Sake Company, il primo importatore specializzato di sakè di qualità, supportato dalla Sake Sommelier Association Italiana (SSA), GQ ha partecipato a una masterclass online con il consorzio dei produttori di sakè della prefettura di Yamagata. Un territorio estremamente vocato per la produzione del sakè e comprendente 53 eccellenti aziende sia artigianali sia meccanizzate. In tutto il Giappone vi sono circa 1300 produttori di sakè, ma solo a Yamagata si conduce da qualche decennio una ricerca continua e meticolosa per la qualità del prodotto, proprio come avviene nel mondo del vino. Anche qui si sono scoperti valori quali la qualità della materia prima (riso e acqua), il terroir, l’impiego di lieviti autoctoni e procedimenti di lavorazione anche sperimentali. Alla masterclass è intervenuto anche lo chef Masayuki Okuda, che ama combinare ricette nipponiche con la cucina italiana e soprattutto fa un largo impiego del sakè in cucina. Leggete qui sotto qualche suo suggerimento.


London Sake Challenge, degustazioni alla cieca
London Sake Challenge, degustazioni alla ciecaLondon Sake Challenge, degustazioni alla cieca© 2014 Shinichi Adachi

1. Il sakè non è né un distillato né un liquore, ma un vino a base di riso, che si ottiene con un processo di macerazione e fermentazione. La qualità del riso e il terroir nel quale viene coltivato, pertanto, come nel caso dell’uva, è la condizione necessario per ottenere un prodotto eccellente.

2. Sakagura. Così è chiamata la “cantina” o azienda dove viene prodotto il sakè.

3. La bevanda alcolica che in Italia impropriamente chiamiamo “Sakè” è in realtà il “Nihonshu”. Sakè, infatti, significa alcol in generale, a prescindere dal metodo di produzione (anche il vino, la birra, la vodka, sono sakè).
4. Vi sono diverse varietà di sakè, che vanno dal più classico sakè novello, ai sakè riserva riserva, spumantizzati, invecchiati, affinati in legno di cedro e i sakè torbidi. Ma due sono I principali riferimenti gustative del sakè: secco e dolce. A questi ogni Sakagura aggiunge o accentua, a seconda della procedura di lavorazione e della materia prima impiegata (per esempio i lieviti), altri due sapori, l’acidità e l’amaro.
5. Geographical Indication (GI). La solo Prefettura di Yamagata riceve sui propri prodotti la certificazione di qualità, che si basa su controlli e tasting molto severi. Riguarda, innanzitutto, l’origine del prodotto, il processo produttivo, l’eccellenza. È insomma un marchio di qualità, che evita inganni e sofisticazioni e garantisce il consumatore. I giudici valutano le bevande ogni due mesi, cnsiderando 7 categorie diverse di sake.
6. Oltre alla tipologia del riso impiegato, alla purezza dell’acqua e al tipo di lieviti utilizzati durante la fermentazione, l’altro ingrediente che fa la differenza nel processo produttivo del sakè è un fungo, o se preferite una muffa, chiamata Koji. Il Koji è in grado di scindere l’amido contenuto all’interno del riso rendendolo uno zucchero più semplice di cui i lieviti si possono nutrire, trasformandolo in alcol. Le spore di kōji vengono cosparse su una parte del riso. Il riso così inoculato viene lasciato in un ambiente umido (una camera rivestita di cedro, la Koji Room). È questa una delle fasi più delicate della preparazione del sakè, poiché ci sono numerose varietà di kōji e il quantitativo che ne viene utilizzato, i tempi di propagazione, sono determinanti nella qualità del vino che si otterrà.

Koji Room, la camera dove viene trattato il riso con il fungo koji
Koji Room, la camera dove viene trattato il riso con il fungo kojiKoji Room, la camera dove viene trattato il riso con il fungo koji

7. Il servizio. La temperatura di conservazione ideale è circa 15°C, la stessa delle cantine vinicole. Il sakè conservato in cantine o altri luoghi freschi e bui manterrà ampiamente la propria qualità originaria per circa un anno. Diversi sono i recipienti in cui va servito. Il sakè conservato a temperatura inferiore a quella ambiente va servito in bicchierini di vetro (da 60 a 110 ml.). Ma vanno bene anche bicchieri da vino o per i sakè un po’ invecchiati quelli ampi da cognac. Ma normalmente il sakè si beve in piccole tazzine di terracotta o porcellana del diametro di 5-8 cm, come le tazzine da caffè. Il sakè riscaldato viene, invece, servito in piccoli recipienti di porcellana della capacità di 150-300 ml. chiamati tokkuri od o-choshi. Infine c’è il chirori, un contenitore più grande, in peltro o in rame, da cui versare il sakè caldo.

Tazze da sakè
Tazze da sakèTazze da sakè

8. Come scaldare il sakè: Versarlo in un piccolo recipiente, come il il chirori, e
lasciarlo scaldare in acqua bollente. Quindi spegnere la fonte di calore e lasciare il contenitore immerso per circa due o tre minuti.

Sakè e cucina italiana, qualche abbinamento

– I sakè più beverini, e quindi con un discreto grado di acidità lo chef Okuda suggerisce di accompagnarli con una caponata e fritto di pesce.
– Il sakè secco si sposa molto bene con piatti come gli spaghetti alle vongole veraci in bianco.
– Il sakè secco invecchiato 2 anni è perfetto abbinato a piatti come merluzzo o baccalà mantecati.

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