Infermiere del Cotugno guarito dal Covid-19: “Presto a lavoro per continuare a lottare”

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Il 46enne Lino Romano è stato il primo contagiato tra il personale del nosocomio partenopeo in cui lavora da vent'anni Share on facebook Share on twitter Share on whatsapp Share on email Share on print


NAPOLI – Ha ricevuto l’esito negativo del doppio tampone e ora aspetta il momento in cui potrà tornare a lavoro. Lino Romano, infermiere di 46 anni che lavora da vent’anni all’ospedale Cotugno di Napoli, è stato il primo contagiato tra il personale del principale nosocomio partenopeo per pazienti Covid. È guarito ed è rientrato a casa dove osserverà altre due settimane di quarantena. “Il mio obiettivo – racconta l’infermiere alla Dire – è tornare a lavorare il prima possibile. Mi sento in diritto-dovere di dare il mio contributo a questa lotta”.
Romano ha scoperto di avere il coronavirus due settimane dopo che i primi pazienti positivi al Covid-19 iniziavano a essere ricoverati al Cotugno. “Quando il tampone è risultato positivo sono scappato subito in ospedale per il ricovero. Sono stati i trenta giorni più intensi della mia vita. Li ricorderò per sempre”. L’infermiere è stato ricoverato nella terza divisione di infettivologia del Cotugno, lo stesso reparto dove lavora, e non ha mai avuto bisogno di ventilazione in terapia intensiva.
“Dieci giorni dopo il contagio – dice – ho avuto paura perché temevo che le mie condizioni potessero aggravarsi, invece non è andata così. Da un punto di vista clinico è andata abbastanza bene. Ora sono guarito, ma devo restare in isolamento. Solo dopo questo periodo sarà finita davvero”.
La principale preoccupazione dell’infermiere era quella di aver contagiato i suoi colleghi. “Temevo per la mia salute – spiega – ma soprattutto temevo di aver fatto del male agli altri. Per fortuna non è successo, questo mi ha ‘rianimato’ in quei primi giorni terribili di ricovero”.

Da infermiere a paziente, Lino ha sempre cercato di tranquillizzare gli altri positivi. “L’oblò della stanza – ricorda – era l’unica interfaccia che avevo con l’esterno. Si sentivano rumori particolari, che io conosco bene. Il suono del monitor, la corsa dei miei colleghi per assistere chi stava peggio. In quei momenti capivo che qualcosa non andava bene e che dovevo mantenere il sangue freddo per tranquillizzare gli altri pazienti impauriti. È stata un’esperienza intensa e dura, la porterò sempre con me, per le cose negative e anche per quelle positive”.
A partire dal momento in cui, il giorno della sua dimissione, i colleghi di reparto lo hanno acclamato all’uscita dalla stanza. “Mi hanno accolto come un fratello, regalandomi un’emozione bellissima. Ho vissuto con loro i primi giorni del Covid. Eravamo professionalmente pronti, al Cotugno avevamo già vissuto pandemie, dall’H1n1 alla Sars, dalla Mers all’ebola. Ma il Covid è un’altra cosa soprattutto per la quantità di pazienti che arrivava ad ogni ora”.
E poi c’era la paura che il contagio si diffondesse anche tra gli operatori sanitari. “Negli ospedali, soprattutto quelli di malattie infettive, il contagio è dietro l’angolo. Ma il Cotugno ha retto bene. Voglio tornare al lavoro al termine della quarantena – dice – e voglio poter riabbracciare la mia famiglia, a partire da Samuele, mio figlio di 13 anni che più di ogni altro mi dà la forza di andare avanti. Ci riabbracceremo al più presto”.

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