I pesci mangia-plastica invadono le spiagge italiane

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Un pesce in grado di «mangiare» la plastica senza per questo farsi del male. Il simbolo della lotta all’inquinamento dell’estate del 2019 è la scultura a forma di animale marino che, su diverse spiagge italiane, funge da contenitore per il recupero della plastica. Ce ne sono diversi in Liguria come in Sicilia, dall’Emilia-Romagna all’Abruzzo a testimoniare una sensibilità ormai diffusa rispetto al tema dell’eccessivo utilizzo e del cattivo smaltimento del materiale organico. Nei «pesci-contenitori» è possibile depositare bottiglie e materiali di plastica, cosa che in queste prime settimane hanno fatto soprattutto i bambini presenti lungo i diversi litorali.


Ma grazie a questa iniziativa ci si rende conto, a poca distanza dal mare, di quanta sia la plastica che «bruciamo» ogni giorno e di quanto sia necessaria una «spending review» per invertire il trend che oggi ci vede produrre molti più rifiuti di quelli che riusciamo a smaltire.

Il pesce mangia-plastica sulle spiagge dell’Abruzzo, Foto: Pagina Facebook Pro Loco Casalbordino

IL SIGNIFICATO DEL PESCE «MANGIA-PLASTICA» – Nella realtà sono tra le vittime dell’inquinamento dovuto alla presenza di rifiuti di plastica in mare. Ma i particolari pesci «mangia-plastica» stanno diventando il simbolo della tutela dell’ambiente, a partire dalle spiagge. Dopo gli esordi in uno stabilimento balneare di Fregene e in un altro di Torre Canne (Brindisi), le installazioni si sono diffuse in Liguria e in Sicilia. Un paio sono visibili anche in Campania e in Calabria. «Ognuno di noi può fare qualcosa per l’ambiente – afferma Michele Catanzaro, il parlamentare siciliano che ha presentato il disegno di legge per ridurre al minimo l’uso della plastica sull’Isola e che sta promuovendo l’iniziativa lungo le sue coste. La distribuzione dei pesci rientra in un percorso di sensibilizzazione e tutela del territorio». La presenza della plastica nei nostri mari non è più novità: il primo sospetto risale al 1947, quando un gabbiano rimase impigliato nel brandello di una cima (probabilmente sintetica). La differenza rispetto al passato recente sta però nella forbice della percezione: quello che fino a dieci anni sembrava un problema emergente è oggi noto a tutti. Vedere pesci intrappolati nelle lattine non stupisce quasi più. La presenza della plastica, al pari della popolazione globale, è cresciuta negli ultimi sessant’anni, che sono stati poi quelli in cui il materiale è divenuto di largo utilizzo. Dai due milioni del 1950, la produzione è arrivata a più di 400 milioni di tonnellate nel 2015.

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Uno dei pesci mangia-plastica comparsi nelle spiegge italiane negli ultimi tempi, Foto: pagina Facebook di Michele Catanzaro

PLASTICA IN MARE TRIPLICATA DAL 2000 A OGGI – La conferma di come la cattiva abitudine si sia diffusa nella seconda metà del secolo scorso la fornisce la ricerca di «Nature Communications» condotta da un gruppo di scienziati dell’Università di Plymouth (Inghilterra) e della Marine Biological Association. I ricercatori hanno passato in rassegna i dati trascritti dal 1950 nei diari di bordo di navi che hanno percorso oltre 6,5 milioni di miglia nautiche. Obbiettivo delle oltre sedicimila spedizioni – portate avanti dal «Continuous Plankton Recorder», programma di biomonitoraggio attivo dal 1931 – non era quello di rilevare l’impatto della plastica, bensì di registrare la presenza di plancton negli oceani. Ma andando a fare la somma di tutte le volte in cui la strumentazione calata dagli scienziati è rimasta impigliata in frammenti di plastica (669), i biologi hanno potuto verificare che la quantità di plastica nei mari del Pianeta è in sistematico aumento da decenni. Dal 2000 a oggi, per citare il dato più eclatante, la probabilità che gli strumenti usati per le misurazioni potessero rimanere impigliati in grandi oggetti «smaltiti» in mari e oceani è triplicata rispetto ai decenni precedenti. Un’evidenza che, agli occhi dei più, può apparire scontata. Ma la valutazione quantitativa, come confermato da Richard Thompson, a capo dell’unità di ricerca sull’inquinamento marino dell’ateneo britannico, «è essenziale per avviare interventi di politica ambientale su scala globale».

Twitter @fabioditodaro

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