A Cannes i “Tre piani” di Moretti

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Nella domenica dell’Italia finalista agli Europei di calcio, il cinema italiano porta a Cannes 74 uno dei suoi autori più amati sulla Croisette, Nanni Moretti, atteso da queste parti sin dall’anno scorso col suo “Tre piani”. Si tratta di un film sulla paura e sul senso di colpa, sulle responsabilità e sul bisogno di libertà, sostanzialmente un film sulle relazioni, composto in maniera molto più solida e molto meno personale, intima, di quanto abbia fatto sinora. Sarà che è la prima volta che Nanni Moretti per raccontare e raccontarsi si affida a un libro, l’omonimo romanzo dell’israeliano Eshkol Nevo (edito in Italia da Neri Pozza), testo fatto di stratificazioni psicologiche che scorrono nell’articolazione di tre storie, una per ogni piano di un condominio, una per ogni famiglia, una per ogni piccolo dramma che si è consumato in quelle case. Deve essere stata proprio l’idea del condominio come spazio di condivisione esistenziale ad affascinare Nanni Moretti, che è pur sempre quello di “Bianca” ma che si ritrova oggi col peso degli anni addosso e la necessità di definire un universo più oggettivo e meno legato alle sue storiche ossessioni. Ecco dunque che nel libro di Nevo trova la scansione per affrontare tematiche a lui care, scolpendole nelle vicende più o meno intrecciate di tre famiglie: da una parte Vittorio e Dora, una coppia di giudici interpretati da Moretti stesso e da Margherita Buy, che attraversano la loro vita di coppia affrontando il dramma di un figlio che ha ucciso una donna guidando ubriaco, dall’altra Lucio e Sara (Riccardo Scamarcio e Elena Lietti), che invece scandiscono la loro crisi di coppia sul sospetto che l’anziano vicino di casa abbia abusato della loro figlioletta affidatagli una sera.  E poi c’è Monica (Alba Rohrwacher) che affronta la sua prima maternità mentre il marito (Adriano Giannini) è lontano per lavoro e nutre nel suo animo lo spettro di una fragilità mentale che vede in atto su sua madre. Vicende di un intreccio che Moretti scandisce sulla definizione di un mondo che, nella sua messa in scena, appare in sé concluso, quasi astratto in una dimensione puramente morale. La drammaturgia segue uno sviluppo che si basa più sulle conseguenze che sulle azioni, più sulle responsabilità che sulla volontà: del libro di Nevo, Nanni Moretti sceglie la prospettiva morale dei drammi, essiccando quasi i personaggi, rendendoli meno realistici e concreti. Sarà per questo che “Tre piani” risulta un film così rigido, intransitivo, privo di commozione e di empatia, qua e là poco fluido, di sicuro molto meno libero e trasparente di quanto il regista abbia saputo fare nei suoi ultimi film. “Tre piani” ha la sostanza pesante del senso della responsabilità che ogni azione, ogni gesto dei suoi personaggi si porta dietro. Il film è popolato di figure che non riescono a sfuggire al loro istintivo bisogno di nutrire paure, dubbi e attese, senza farsi carico anche delle conseguenze di ciò che fanno o non fanno. Moretti ci consegna dunque un film sul peso delle azioni che sono come catene alle quali siamo legati, ma anche un film sulla liberazione e sul bisogno di ridefinirsi per trovare vie alternative. Ed è in questi gesti che “Tre piani” risulta più accogliente e meno tetragono di quanto nel suo insieme appaia allo spettatore. Sarà anche che i personaggi sono consegnati agli interpreti con una rigidezza che non facilita il loro compito e li trova un po’ tutti troppo contenuti. Solo Margherita Buy sa trovare la via per dare luce e verità al suo personaggio.
(ITALPRESS).


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