La Russia stacca il gas a Polonia e Bulgaria. E se lo staccasse anche a noi?

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Le minacce si stanno concretizzando: Gazprom ha reciso unilateralmente i contratti di fornitura di gas naturale a Polonia e Bulgaria poiché questi Stati non hanno pagato in rubli come impone un decreto firmato da Vladimir Putin a fine marzo scorso.


Per ora l’Italia continua ad avere stabili forniture di gas ma non sappiamo se un’analoga situazione potrebbe verificarsi davvero anche nel nostro Paese, che dipende largamente dalla Russia per le fonti di energia (fossile, purtroppo).

L’annuncio di Gazprom 

La compagnia controllata dal Governo russo che estrae e vende gas naturale, ha annunciato in data 27 aprile di aver reciso il contratto di fornitura con Bulgargaz (Bulgaria) e PGNiG (Polonia), per il loro mancato pagamento in rubli.

Facciamo un passo indietro. A fine marzo scorso Vladimir Putin aveva imposto al governo, alla Banca Centrale e a Gazprom di attuare entro il 31 marzo le disposizioni che prevedono l’uso del rublo per i pagamenti delle forniture di gas ai “Paesi ostili” (tra i quali figurano tutti i Paesi Ue).

Nel corso del mese di aprile non risultavano applicazioni concrete di questa mossa, fatta per aggirare le sanzioni Ue, ma purtroppo il 27 del mese sono arrivate le prime: per Polonia e Bulgaria è arrivato lo stop dovuto al loro mancato pagamento il rubli.

Le reazioni dell’Ue

L’annuncio di Gazprom di interruzione unilaterale della consegna del gas ai clienti in Europa è l’ennesimo tentativo della Russia di utilizzare il gas come strumento di ricatto – scrive la Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen –  Questo è ingiustificato e inaccettabile. E mostra ancora una volta l’inaffidabilità della Russia come fornitore di gas. Siamo preparati per questo scenario. Siamo in stretto contatto con tutti gli Stati membri

La Presidente a questo proposito riferisce come l’Ue stia lavorando per garantire fonti di approvvigionamento alternative e i migliori livelli di stoccaggio possibili e come tutti gli Stati membri abbiano hanno messo in atto piani di emergenza proprio per questo scenario, in coordinamento e solidarietà.

Siamo davvero preparati allo stop al gas russo?

L’8 marzo, poco dopo lo scoppio della guerra in Ucraina ma ben prima del provvedimento di Putin sui pagamenti in rubli, la Commissione Europea aveva annunciato un piano per l’indipendenza energetica dalla Russia “ben prima del 2030”.

Ma, secondo quanto riferito dal Financial Times, non tutti i Paesi europei saprebbero come far fronte oggi allo stop del gas russo, tanto da programmare la possibilità di pagare davvero in rubli, come impone Putin in quello che la Commissione Europea definisce un ricatto.

In particolare le compagnie Uniper (Germania) e la OMV (Austria) starebbero proprio definendo un programma di pagamento in rubli, mentre la nostra Eni starebbe “valutando” le opzioni. Insomma il fronte comune da un lato e i piani di emergenza non sembrerebbero proprio così fermi e inossidabili.

A questo aggiungiamo anche che già a settembre 2021, quindi prima della guerra tra Russia e Ucraina, le scorte di gas erano ai minimi da almeno 10 anni.

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D’altronde l’Europa dipende oggettivamente dalla Russia per le fonti energetiche, visto che usa ancora in larga parte quelle fossili, scarsamente disponibili nei nostri sottosuoli. E l’Italia è uno dei Paesi con la situazione più pesante, importando circa il 77% del fabbisogno nazionale, con la Russia come primo Paese da cui acquista per soddisfarlo.

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Cosa accadrebbe se la Russia staccasse anche a noi il gas?

Ce lo siamo chiesto più volte e naturalmente non esiste una risposta certa, ma gli scenari più concreti non appaiono tra i più rosei.

Tra questi non manca il razionamento dei consumi, mentre il nostro Governo cerca altri fornitori di fonti fossili, non sempre con le garanzie di stabilità geopolitica tali da rendere anche queste mosse “non critiche”.

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E, in barba a tutte le evidenze ambientali sui rischi nonché agli accordi firmati ripetutamente del corso delle Conferenze sul Clima, pensa al carbone come una valida alternativa.

Cosa possiamo, anzi, dobbiamo fare?

Dobbiamo fare, urgentemente, quello che non è stato fatto finora: nuovi impianti per produrre energia elettrica dalle fonti rinnovabili di cui l’Italia è ricca, aveva risposto a questa domanda Agostino Re Rebaudengo, Presidente di Elettricità Futura, associazione di imprese del settore elettrico”

Sì, perché in questo clima di totale incertezza politica ed economica, abbiamo una certezza: l’Italia ha delle evidenti risorse energetiche, quelle rinnovabili, ma le sfrutta davvero troppo poco.

Da anni in Italia non vengono rilasciate le autorizzazioni – tuonava il Presidente – A furia di dire no ai nuovi impianti, ci ritroviamo fortemente dipendenti dalle importazioni di gas dalla Russia e da altri Paesi instabili e non democratici. La conclusione di un iter autorizzativo per un impianto rinnovabile richiede fino a 7 anni. Sono tempi incompatibili rispetto all’urgenza di risolvere questa grave crisi

Si parla di 60 GW di nuovi impianti rinnovabili che il settore elettrico può installare nei prossimi 3 anni, avviando investimenti per 85 miliardi di euro e creando 80.000 nuovi posti di lavoro. Che si possono (anzi, si devono) autorizzare entro giugno 2022.

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Accadrà?

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Fonti: Gazprom/Twitter / Commissione Europea / Financial Times

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