I livelli di anticorpi nei pazienti che hanno avuto il COVID-19 diminuirebbero rapidamente nel giro di pochi mesi: lo studio

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Dopo 2/3 mesi gli anticorpi sviluppati sia da sintomatici che da asintomatici che hanno avuto il coronavirus si riducono drasticamente. Difficile stabilire quindi la durata dell’immunità anche per chi ha contratto il virus e ne è guarito.


Cosa sappiamo davvero sugli asintomatici e sulla risposta degli anticorpi al coronavirus? Ancora troppo poco, come dimostra un nuovo studio pubblicato su ‘Nature Medicine’, che evidenzierebbe, se fosse confermato, “tutti i rischi dell’uso dei “passaporti immunità”, sostenendo invece l’uso prolungato di interventi come il distanziamento sociale e l’isolamento di gruppi ad alto rischio”, come spiegano gli autori.

Questo perché l’effetto protettivo assicurato dagli anticorpi potrebbe essere più breve di quanto finora ritenuto. Secondo la nuova ricerca, il livello potrebbe diminuire drasticamente in 2-3 mesi dopo l’infezione, sia per i pazienti sintomatici che per quelli asintomatici. Se questo fosse confermato, bisognerà porsi subito domande importanti sulle misure da mettere in campo per scongiurare i nuovi contagi.

I ricercatori hanno studiato un piccolo gruppo, che, diciamolo subito, non consente di dare risposte definitive. Si tratta di 37 pazienti sintomatici e 37 pazienti asintomatici. Hanno così scoperto che tra coloro che si sono dimostrati positivi alla presenza dell’anticorpo IgG, uno dei principali tipi di anticorpi indotti dopo l’infezione, oltre il 90% ha mostrato un forte calo in 2-3 mesi .

La riduzione percentuale media è stata di oltre il 70% sia per i pazienti sintomatici che per quelli asintomatici.

Dei 37 soggetti, identificati in un gruppo di 178 persone positive al virus, 22 erano femmine e 15 maschi, con un’età compresa tra 8 e 75 anni (età media 41 anni).

“Otto settimane dopo la dimissione dall’ospedale, i livelli di anticorpi neutralizzanti sono diminuiti nell’81,1% degli asintomatici, rispetto al 62,2% dei pazienti sintomatici. Inoltre, i primi presentavano livelli più bassi per 18 citochine pro-antinfiammatorie (proteine ​​di segnalazione cellulare). Ciò indica che i pazienti asintomatici potrebbero aver avuto una risposta immunitaria più debole all’infezione da Sars-CoV-2”, suggeriscono gli autori.

Lo studio è stato condotto da ricercatori dell’Università medica di Chongqing.

Per Jin Dong-Yan, professore di virologia all’Università di Hong Kong (che non faceva parte del gruppo di ricerca) lo studio comunque non nega la possibilità che altre parti del sistema immunitario possano offrire protezione. Una volta avuto il virus in circolo, alcune cellule del corpo potrebbero memorizzarlo e proteggerlo in vista di una seconda ondata. Inoltre, gli scienziati stanno ancora studiando se questo meccanismo funziona per il nuovo coronavirus.

Insomma, niente di ufficiale e niente di sicuro. Ancora una volta serviranno ulteriori studi su gruppi più ampi per determinare la durata dell’immunità ottenuta grazie agli anticorpi.

Resta il fatto che la trasmissione asintomatica del coronavirus resta ancora uno degli aspetti più misteriosi da indagare, gli scienziati devono tentare di capire se e per quanto tempo il SARS-CoV-2 riesce ad immunizzare coloro che hanno superato la malattia.

“Sulla patente di immunità io sollevo sempre dubbi e cautele, perché non sappiamo ancora diverse cose. Innanzitutto se gli anticorpi sono protettivi e per quanto durano – conferma Crisanti – E sulla base degli studi che abbiamo fatto sull’idoneità delle sacche di plasma i dubbi aumentano, perché la maggior parte di questo plasma non è neutralizzante in vitro e gli asintomatici non producono anticorpi. Io inizio ad essere allarmato. L’immunità indotta naturalmente dal virus è così varia che non mi sento di dire che la maggior parte delle persone che si infettano poi sono protette”, ci aveva spiegato, non a caso, Crisanti in una recente intervista.

Fonti: Clinical and immunological assessment of asymptomatic SARS-CoV-2 infections, reuters

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Da Greenme

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