Annalisa Minetti: “Sport è il mio equilibrio, ho fatto del dolore un mentore”

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ROMA – Corpo in avanti, piedi sulla linea, giu’ la benda “come fosse l’elmetto di un soldato”. Superati i primi 400 metri, “sento solo la voce di Stefano, il mio allenatore. Da lì, mi vedo correre da fuori”. Il mezzofondo ce l’ha tutto nella testa Annalisa Minetti che, in un’intervista all’Agenzia Dire, descrive ogni metro percorso su terra rossa al fianco di Stefano Cialella, la sua ‘guida’. “Mi chiama per cognome: ‘Miné è a 50 metri’, e io immagino quello che mi dice. Perché quando non vedi l’atleta che ti corre a fianco, non hai la matematica certezza della distanza che c’e’ tra te e lei. Poi gli ultimi 300 metri rientro nel mio corpo, come se qualcuno mi svegliasse. Tiro fuori tutta la mia energia e, quando sento la stanchezza, penso ai miei figli e corro verso il traguardo”. Medaglia di bronzo nei 1500 metri alle Paralimpiadi di Londra 2012 – dove ha stabilito il record mondiale nella categoria ‘non vedenti’ – l’indomita sfida che Annalisa lancia continuamente a se stessa e agli altri e’ quella di fare del dolore “un mentore”, perché solo così non saremo “normodotati, inabili o disabili, ma solo specialmente abili”. E dai palchi di Miss Italia e Sanremo alle piste di mezzo mondo, fino alla piu’ intima esperienza della maternità, la sua è una sfida sempre vinta, a partire dall’ostacolo maggiore incontrato lungo il percorso e abbattuto col piglio di chi non cede alle etichette: “Le barriere mentali, quello che la gente crede tu possa fare o non fare. Io barriere non ne vedevo, me le raccontavano- dice- Ma non mi sono mai preoccupata delle cose, me ne sono occupata, agendo. E posso dire che l’inabilita’ non esiste, perche’ posso fare tutto: quello che cambia e’ il metodo”.


DALLA DANZA ALL’ATLETICA LEGGERA, UNA VITA SEGNATA DALLO SPORT

Cosi’ Annalisa, danzatrice classica da bambina poi adolescente appassionata di palestra, a 18 anni, di fronte alla diagnosi di retinite pigmentosa che le ha tolto la vista, segue il consiglio del suo maestro di spinning. “Mi ha insegnato a insegnare– racconta- ‘Se non puoi seguire una lezione la puoi dare’, mi diceva. E da li’ lo sport e’ diventato una realta’”. Inizialmente con l’aikido, “un’arte marziale che sembra quasi una danza e si fa con gli occhi bendati. Combatti senza vedere, era perfetta per me”, ricorda. Ed e’ oggi “la filosofia di vita” di Annalisa, basata sul principio che “gli occhi non vedono, ma il corpo si'”. A cascata, con l’atletica leggera praticata a livello agonistico, sono arrivate “la sicurezza e la convinzione delle mie abilita’ motorie- racconta- una reattivita’ e un’eccezionale capacita’ di capire quando cadono le cose. Mi rendo conto che a volte sembro quasi bionica”, confessa l’atleta, che proprio nello sport ha trovato “l’equilibrio, la bilancia, un osteopata che mi rimette sempre a posto”. E ha creato un metodo, “‘Reborn now‘, ‘Rinasci ora’, in cui i limiti e le paure sono i nostri piu’ grandi vantaggi, strumenti per superare gli ostacoli e raggiungere gli obiettivi”. In un agone, quello sportivo, che e’ per sua natura “paritario. Forse e’ l’ambito piu’ meritocratico- sostiene la campionessa, che si allena ogni giorno per le prossime olimpiadi- Il traguardo e’ uno e chi arriva per primo vince, non c’e’ distinzione tra uomini e donne”. Se “l’uomo e’ fisiologicamente piu’ forte”, infatti, “la donna ha una maggiore resistenza emotiva, quindi e’ piu’ in grado di gestire la fatica nel corso della gara”.
Non e’ quello di genere, quindi, il vero gap nel mondo dello sport italiano, secondo la campionessa – che dopo la laurea in Comunicazione e’ in corsa per prendere la seconda in Scienze Motorie – ma quello tra chi e’ formato e chi non lo e’. “Ci sono persone che si improvvisano con corsi di formazione che durano poche settimane o weekend e poi fanno fare sport ai bambini. Ma l’attivita’ motoria va adattata alle loro evoluzioni fisiologiche e, se non hai la preparazione per accompagnarle, puoi demotivarli a livello psicologico e motivazionale o, addirittura, creare dei danni fisici”. Da qui, l’importanza di “lavorare non solo sulla propria passione, ma anche sulla propria competenza- dice- per poi orientare i bambini a capire qual e’ la loro disciplina rendendo la psicomotricita’ obbligatoria nelle scuole” e facendo dello sport “un mezzo pedagogico. Il mio obiettivo piu’ grande come responsabile nazionale Pluridisabilita’ di Acsi- confessa Minetti– e’ fare in modo che lo sport sia un diritto di tutti. Un gioco e un mezzo ludico-pedagogico che possa divertire i bambini, lontano dall’ossessione per la competizione”. E che insegni loro a vedere in un limite un’opportunita’. “Questo sara’ il piu’ bel Natale, perche’ avremo talmente poco che riusciremo a dare valore alle cose che realmente contano- osserva- Con i miei bambini, Fabio e Elena, stiamo costruendo regali e centrotavola, organizziamo i giochi e le tombolate che faremo online con il resto della famiglia e i menu’, che saranno tutti uguali a distanza- racconta sul prossimo 25 dicembre in pandemia Covid-19- Noi queste cose non le facevamo mai, ma ci stiamo divertendo un sacco”. E chiude: “Bisogna lasciarsi stimolare dal disagio, perche’ quando arriva una cosa molto brutta o la subisci o la attacchi. Bisogna insegnare alle persone che quando arriva il grande dolore occorre farne un mentore”.

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Da Dire.it

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