“All We Imagine As Light”, a Cannes il realismo magico di Mumbai

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Tempo di Lettura: 2 minuti CANNES (ITALPRESS) – C’è qualcosa di magico e qualcosa di realistico in “All We Imagine As Light”, il primo film di finzione della giovane documentarista indiana Payal Kapadia, presentato in Concorso a Cannes 77. In sostanza si tratta del ritratto di Mumbai composto attraverso la storia di due donne che condividono un appartamento e si […]

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CANNES (ITALPRESS) – C’è qualcosa di magico e qualcosa di realistico in “All We Imagine As Light”, il primo film di finzione della giovane documentarista indiana Payal Kapadia, presentato in Concorso a Cannes 77. In sostanza si tratta del ritratto di Mumbai composto attraverso la storia di due donne che condividono un appartamento e si confrontano con i loro sogni, tra passato e presente, in un flusso narrativo molto dolce e tendenzialmente trasognato, che ha anche qualcosa di ipnotico. C’è Prabha, che fa l’infermiera in ospedale e cerca di gestire incombenze di lavoro e questioni di vita con un misto di sensibilità, pragmatismo e vaga indolenza. Nella sua vita c’è anche un medico che forse le fa un pò la corte e le regala un poema scritto pensando a lei, col quale intende partecipare a un concorso.
Nel suo passato c’è invece un marito ormai lontano da anni, dal quale però un giorno riceve, del tutto inaspettatamente, un grande pacco con dentro un elettrodomestico. Prabha condivide l’appartamento con la più giovane Anu, che ha un carattere più lieve e spensierato e coltiva un amore sincero con un ragazzo, col quale cerca invano di trovare un posto per trascorrere un pò di tempo in serenità e intimità. Sarà un viaggio in una località di mare a offrire a entrambe l’occasione per sganciarsi dal peso della quotidianità e trovare lo spazio e il tempo per liberare le loro coscienze e il loro spirito: un chiosco sul mare sul far della notte sarà il luogo in cui, finalmente sole con se stesse, le donne potranno ridefinire il loro rapporto con la realtà e Anu potrà presentare all’amica il suo ragazzo. La regista costruisce questa tessitura narrativa lieve e concreta partendo dalla sua capacità di osservare luoghi e persone in chiave documentaria, ma individuando un tono narrativo che sta mirabilmente in bilico tra l’intimo e l’oggettivo, il mondo reale e quello psicologico.
Le interpreti offrono al film la chiave d’accesso alla dimensione femminile, mentre la regista, Payal Kapadia, conferma tutte le qualità che la avevano vista premiata alla Quinzaine di Cannes di tre anni fa con il documentario “A Night of Knowing Nothing”.


– foto Ipa Agency –
(ITALPRESS).

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