A Bari ristoratori apparecchiano tavola a terra e dicono: “Non siamo untori”
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Redazione
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28/10/2020
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redazioneweb@agenziadire.com
Come in altre 23 piazze italiane manifestano il loro dissenso contro le restrizioni imposte dall'ultimo decreto governativo che impone la chiusura di bar e locali alle 18
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BARI – Hanno sistemato tovaglie, piatti, posate e bicchieri sulla pavimentazione di largo Giannella a Bari per “dimostrare che la categoria è a terra”. Così questa mattina i ristoratori di Bari hanno manifestato – come accaduto in altre 23 piazze italiane – il loro dissenso contro le restrizioni imposte dall’ultimo decreto governativo che impone la chiusura di bar e locali alle 6 del pomeriggio. Gli imprenditori del settore ristorazione hanno ribadito il “valore economico, sociale e antropologico delle loro attività” e chiarito “una volta per tutte” che non esiste connessione alcuna “tra la frequentazione dei pubblici esercizi e la diffusione dei contagi”.
“I pubblici esercizi sono prima di tutto aziende – ha detto Sandro Ambrosi presidente di Confcommercio Bari-BAT -, aziende che danno luce e lustro alle città, aziende che creano socialità, aziende che hanno e stanno rispettando le regole, e vogliono continuare a stare nelle regole ma hanno urgenza di avere aiuti e velocemente, altrimenti la maggior parte sarà costretta a chiudere. Questo il messaggio che oggi parte da questa piazza, non siamo gli untori della società. Ringraziamo il governo per gli aiuti promessi ma devono arrivare velocemente”.
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“Le ulteriori restrizioni – ha spiegato Dino Saulle presidente Fipe Bari – rischiano di essere il colpo di grazia per il settore dei pubblici esercizi, già tra i più colpiti dalla spaventosa crisi generata dalla pandemia. Infatti, secondo le stime, a fine anno il comparto rischia di perdere 50.000 aziende con ben 300.000 posti di lavoro in bilico. Vogliamo evitare che passi il messaggio che i pubblici esercizi abbiano un ruolo nella diffusione del contagio. Non esiste alcuna connessione tra quest’ultimo e l’apertura dei locali, anche perché gli operatori del settore rispettano seriamente i protocolli sanitari imposti e validati dal Cts e dall’Inail. Protocolli che hanno richiesto investimenti economici significativi e garantito sicurezza ai consumatori”.
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