VIDEO | Mancano i pediatri, età media avanzata è buco nero per l’assistenza
- Redazione
- 24/06/2020
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Si calcola che nel 2025 ne mancheranno oltre 10mila. Le cause? Età avanzata, decrescita del numero diorganici e mancato turnover Share on facebook Share on twitter Share on whatsapp Share on email Share on print
ROMA -“L’età media dei pediatri di famiglia è elevatissima in tutta Italia, Calabria compresa. Il rischio di un buco nero nell’assistenza territoriale è molto evidente e non si risolve alzando i massimali, perché raddoppiare il numero dei pazienti come fanno il Piemonte (1.600 bambini a pediatra) o la Lombardia (1.400 assistiti) non risolve il problema, abbassa solo la qualità. Noi invece dobbiamo implementarla in maniera sostanziale se vogliamo far sopravvivere la pediatria del territorio”. Parla Chiaro Giuseppe Gullotta, presidente della Federazione sindacale Cipe, Sispe-Simpef, intervenendo alla diretta facebook di ‘Dire Salute’ su ‘Il futuro della pediatria, dal nazionale al regionale: il caso Calabria’.
IL MODELLO TEDESCO
Negli ospedali la situazione non è diversa, e ad offrire il suo punto di vista è Domenico Minasi, presidente dell’Associazione pediatri ospedalieri italiani (Aspoi) e della sezione Calabria della Società italiana di pediatria (Sip). “Anche se domani aprissimo le scuole di specializzazione a tutti i laureati, ci vorrebbero comunque 5 anni per formarli. Bisogna trovare soluzioni che consentano di poter assumere prima i medici in ospedale. Insieme al sindacato dei medici Cimo- fa sapere Minasi- avevamo lanciato la proposta di creare gli ospedali di insegnamento/formazione sul modello tedesco, dove i neolaureati vengono subito assunti come ‘medici dipendenti’ per seguire poi un percorso specialistico. Tutte le esperienze indispensabili per la formazione vengono poi annotate su un Log book e- spiega il presidente Aspoi- al termine del percorso il medico viene sottoposto a un esame di Stato. La nostra proposta manteneva inoltre anche la formazione all’università, ma ci dava modo di avere nuova forza lavoro a disposizione”, chiarisce.
IPOTESI CORSO TRIENNALE
Per colmare invece la carenza di pediatri sul territorio la Federazione Cipe-Sispe-Simpef punta sulla creazione di un “corso triennale per la specializzazione in pediatria di famiglia, ovvero per il pediatra generalista. Si potrebbero quindi scorporare i 5 anni- chiarisce Gullotta- di modo che i 2 anni supplementari di specializzazione possano essere seguiti da chi intende formarsi per lavorare in ambiente ospedaliero”.
SOLUZIONE TAMPONE, LE COOPERATIVE
La soluzione per entrambi gli specialisti è quella di integrare l’ospedale con il territorio. Come? “La carenza di pediatri è visibile soprattutto nei piccoli ospedali, ma in alcuni nosocomi al Nord, così come in Calabria, è stata trovata una soluzione interessante- racconta Gullotta- usufruire dei pediatri di famiglia attraverso le cooperative. Al Nord esistono delle cooperative di pediatri di famiglia, infatti, che lavorano a gettoni negli ospedali in attività libero professionale, così da sopperire alla carenza medici. Questi pediatri si arricchiscono sia dal punto di vista personale, riacquisendo e implementando la loro formazione, sia sotto il profilo lavorativo. Inoltre, il loro aiuto è fondamentale in ospedali come Polistena, dove ci sono reparti con solo due pediatri. Le cooperative non fanno altro che implementare il personale e garantire l’assistenza. Questa iniziativa andrebbe favorita e urlata in senso positivo- sottolinea il presidente della Federazione Cipe-Sispe-Simpef- invece viene osteggiata”.
Le cooperative, anche secondo Minasi, “rappresentano una condizione a volte indispensabile, ma non possono essere una soluzione di lungo periodo. Sono una soluzione tampone. Io stesso- afferma il presidente Aspoi- ho utilizzato questi sistemi in Calabria, ne sono stato un antesignano tre anni fa quando ero direttore del dipartimento. Sono convinto, però, che bisogna trovare un’unità di intenti, un punto di incontro- aggiunge- Fermo restando che qualsiasi soluzione che tamponi le emergenze attuali vada bene, questo non significa che non dobbiamo trovare tutti insieme un progetto nuovo, che metta ospedale e territorio in una rete comune con competenze diversificate”. Sono due componenti a detta di Minasi che “devono agire sinergicamente per rispondere in maniera condivisa ai bisogni assistenziali dei bambini italiani. Un lavoro che va fatto superando ogni difesa corporativa dello status quo, oggi anacronistica, e ogni regionalismo”.
RIATTIVARE TAVOLO TECNICO
“Spero che il presidente della Sip, Alberto Villani, riattivi il tavolo tecnico con tutte le associazioni sindacali di categoria e società scientifiche, così da confrontarci con le diverse anime della pediatria per trovare una soluzione condivisa”, conclude Minasi.
NEL 2025 MANCHERANNO OLTRE 10MILA PEDIATRI
“Età avanzata, decrescita del numero di organici e mancato turnover, non tanto legato all’inerzia amministrativa delle aziende sanitarie, quanto alla carenza di nuovi specialisti. Oggettivamente sono queste le criticità più cogenti della pediatria ospedaliera”. Parte da qui Domenico Minasi, presidente dell’Associazione pediatri ospedalieri italiani (Aspoi) e della sezione Calabria della Società italiana di pediatria (Sip), durante la diretta Facebook Dire Salute su ‘Il futuro della pediatria, dal nazionale al regionale: focus Calabria’. Non a caso, secondo i dati più recenti, al 2025 “mancheranno 3.394 pediatri ospedalieri in tutte le regioni d’Italia, ad esclusione del Lazio”, a cui si aggiungono 7.200 pediatri di famiglia in meno. Ma non finisce qui. A queste evidenze, ormai consolidatesi, si unisce la necessità “sempre più insistente di una sinergia tra ospedale e territorio- continua il presidente Sip Calabria- Un’integrazione famosa che è rimasta un’araba fenice: tutti ne parlano e nessuno l’ha mai vista”. La pediatria ospedaliera, difatti, “nonostante i cambiamenti demografici, economici, culturali e sociali che si sono susseguiti, ha una struttura assistenziale rimasta invariata e- puntualizza Minasi- ormai è vecchia di 40 anni“. Dunque, a detta dell’esperto “occorre trovare insieme una sintesi anche per le ipotesi di cambiamento, che non deve essere condizionato dal modello attuale- statuisce- Il modello futuro potrebbe anche essere differente da quello vigente”.
Sul fronte della pediatria di famiglia, invece, è Giuseppe Gullotta, presidente della federazione Cipe- Sispe-Simpef che approfondisce l’altro lato della medaglia: “A mancare sono 7.200 pediatri di famiglia e nell’arco del prossimo quinquiennio uno su due andrà in pensione”. Per l’esperto, inoltre, un’ulteriore spina nel fianco è rappresentata dal reclutamento rallentato delle nuove leve: “Per i neolaureati può passare fino a un anno prima che vengano chiamati. Spesso-ribadisce- la maggioranza viene assorbita dagli ospedali dove la carenza è immediata e il posto è sicuro”.
E ancora, tra i nodi da sciogliere nella rilettura di un sistema complessivo integrato tra pediatria ospedaliera e territoriale, c’è “il problema dell’imbuto: i laureati in Medicina sono molti di più rispetto ai posti di specializzazione. Parliamo- spiega il presidente Cipe, Sispe, Simpef- di circa 12.000 medici ‘a spasso’ a fronte degli 8.000 posti per specializzarsi”. È lo stesso concorso, a quanto riferisce, che crea una sproporzione in questo senso: “Se non si arriva tra i primi- illustra- puoi anche aver avuto per 6 anni la voglia di fare il pediatra, ma potresti finire per fare l’anestesista e lo farai male, o comunque malvolentieri”.
L’arroccamento nelle proprie torri d’avorio, concordano Minasi e Gullotta in finale, “non fa bene a nessuno. Si finisce per rimanere tutti chiusi nella propria sfera ed è la gestione complessiva a risentirne. Ho sempre detto- conclude Gullotta- che la pediatria stava andando verso il suicidio, gli si stava levando tutto l’ossigeno. E il rischio è che alla fine muoia”.
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