Svelato il segreto della “pianta immortale”, che sopravvive nel deserto

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Il deserto non è esattamente il luogo più ospitale per le piante, eppure nel deserto del Namib, in Africa,  cresce una specie considerata quasi immortale. Si tratta della Welwitschia mirabilis, nota dagli abitanti della regione come “tweeblaarkanniedood”, che significa “due foglie che non possono morire”.


In realtà, la welwitschia non gode di vita eterna, ma può raggiungere comunque età tra i duemila e i tremila anni sviluppando solo due foglie (in alcuni casi solo una) che continuano a crescere per migliaia di anni.

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La welwitschia non colpisce per bellezza e portamento ma è considerata una specie meravigliosa e fin dal 1859 – data in cui è stata scoperta – affascina biologi e botanici di tutto il mondo. Da tempo infatti gli studiosi si interrogano su come faccia questa pianta, decisamente strana, a essere così longeva in una terra tanto arida e ostile.

Ora un gruppo di ricercatori sembra aver risposto alla domanda, attraverso lo studio del genoma della pianta. Da una ricerca pubblicata questo mese su Nature Communications è emerso che circa 86 milioni di anni fa, l’intero genoma di Welwitschia è raddoppiato in seguito a un errore nella divisione cellulare. L’evento si è verificato in uno dei periodi più aridi registrati nella regione, forse proprio quando il deserto del Namib si è formato. Tao Wan, autore principale dello studio, ha spiegato che lo “stress estremo” è spesso associato a tali eventi di duplicazione del genoma.

Tuttavia, avere più materiale genetico ha un costo, poiché l’attività più importante per la vita è la replicazione del DNA. Avere un grande genoma rappresenta dunque un grande consumo energetico per mantenere la vita, specialmente in un ambiente ostile. A peggiorare le cose, una gran quantità del genoma di Welwitschia è costituito da sequenze di DNA “spazzatura”, che deve essere replicata e riparata. Le sequenze spazzatura sembra si siano moltiplicate nella pianta uno o due milioni fa, probabilmente a causa di uno stress termico. Per contrastare il fenomeno, il genoma di welwitschia si è modificato per silenziare diverse sequenza, incluse quelle spazzatura, attraverso un processo noto come metilazione del DNA.

Grazie a processi come la metilazione del DNA la pianta ha ridotto in modo significativo le dimensioni e i costi di manutenzione del suo DNA ottenendo un genoma molto efficiente e a basso costo che le garantisce longevità e resistenza. È probabile dunque che le condizioni di stress idrico e nutritivo abbiano portato la specie a selezionare un genoma più piccolo, che le consente di ridurre il fabbisogno di nutrienti per le cellule e di migliorare l’efficienza dell’uso dell’acqua attraverso una maggiore reattività degli stomi.

Inoltre, la pianta esprime continuamente alcuni geni coinvolti nell’attività dei meristemi (da cui crescono i tessuti vegetali) e dei fattori di trastrizione che regolano la crescita e la differenziazione cellulare. Questo si traduce in un un metabolismo efficiente anche quando lo stress ambientale aumenta,prevenendo la orte del meristema basale e delle parti giovani delle foglie durante i lunghi periodi di condizioni avverse.

Secondo il Dottor Wan, in un mondo che si riscalda sempre di più, studiare come alcune specie riescano a sopravvivere in condizioni ostili potrebbe essere utile per produrre colture più resistenti, in grado di crescere in ambienti caldi e con poche risorse idriche.

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Fonte di riferimento: Nature

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