Smart working 2020, per il 70% ancora problematico il nodo vita-lavoro

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Indagine nazionale promossa dall'associazione datoriale Cifa, dal sindacato Confsal e dal fondo interprofessionale Fonarcom. Diffusa la percezione di aver lavorato di più Share on facebook Share on twitter Share on whatsapp Share on email Share on print

ROMA – Com’è stato per milioni di lavoratori italiani operare in smart working negli ultimi mesi, quali i vantaggi e gli svantaggi percepiti e quali le indicazioni per il futuro? La risposta arriva da un’indagine presentata oggi nell’ambito dell’iniziativa #IlLavoroContinua. Voluta dall’associazione datoriale Cifa, dal sindacato Confsal e dal fondo interprofessionale Fonarcom, la ricerca è stata realizzata dal Centro studi InContra su un campione di quasi 2.000 lavoratori, suddivisi in collaboratori e responsabili.

Ecco, in sintesi, alcuni risultati.

Anzitutto, le Pmi registrano un tasso di attivazione due volte maggiore rispetto al periodo pre-pandemico, contro una tendenza di segno opposto nelle grandi imprese. Il non ricorso al lavoro agile resta per lo più una scelta volontaria del lavoratore; solo per il 30% si deve alla mancanza di strumentazione idonea e per il 22% a una decisione aziendale.

Poi, pur riconoscendo allo smart working un buon potenziale di bilanciamento vita-lavoro, circa il 70% dei responsabili dichiara di aver avuto difficoltà nel separare i tempi. Diffusa la percezione da parte dei collaboratori (il 60%) che all’aumento delle ore lavorative non corrisponda un commisurato riconoscimento di straordinari, insieme con un certo disagio nel sentirsi sempre connesso e reperibile (opportuno riflettere sul diritto alla disconnessione).

Il risparmio (per trasporto, pranzo, ecc.) mette d’accordo tutti, così come l’aumento della propria produttività e l’incremento dell’autonomia e della responsabilità nel raggiungimento degli obiettivi. Di contro, si registra una certa difficoltà su: coordinamento (con il capo e con il team), condivisione di informazioni e tempi di risposta. Nella relazione da remoto, infatti, per il 35% dei soggetti non si ha la stessa efficacia che in presenza.

Infine, in misura dell’82%, i soggetti sono favorevoli a essere valutati sulla capacità di raggiungere i propri obiettivi lavorativi, percentuale che scende al 60% se si chiede di immaginare la retribuzione legata a questo raggiungimento. Cause: la poca fiducia nella dirigenza e la percezione di una cultura d’impresa obsoleta.

Per Salvatore Vigorini, presidente di InContra, “i risultati ci spingono a una profonda riflessione su come questa modalità di fornire la prestazione richieda un ripensamento dei ruoli e dell’organizzazione in azienda. Tutto va ripensato e normato alla luce dei cambiamenti in atto: serve maggiore dialogo tra impresa e lavoratori, va generato un maggiore clima di fiducia in azienda e vanno adottate moderne relazioni industriali“.

Commentando i risultati dell’indagine, il presidente di Cifa, Andrea Cafà osserva: “Le criticità emerse dall’indagine vanno lette alla luce di un’adozione per lo più frettolosa dello smart working non preceduta da un’adeguata preparazione, da una buona formazione e da un cambiamento culturale. I risultati ci invitano, come Cifa, Confsal e Fonarcom, a consegnare a imprese e a lavoratori, in definitiva all’intero mercato del lavoro, strumenti e soluzioni efficaci per adottare al meglio, da qui in poi, questa modalità lavorativa. Le imprese, però, devono fare un grande sforzo rivedendo i propri modelli organizzativi, investendo in formazione e in strumentazione tecnologica. oltre a rafforzare il clima di fiducia”.

Cosi’ il segretario generale di Confsal, Angelo Raffaele Margiotta: “L’indagine ci dice che occorre lavorare molto sulla regolamentazione dello smart working al fine di garantire ai lavoratori il massimo di benessere e di sicurezza, con particolare attenzione a ciò che attiene al diritto alla disconnessione per una giusta separazione tra tempi di vita e tempi di lavoro”.

Per Rosario De Luca, presidente Fondazione studi Consulenti del lavoro, “in questo periodo abbiamo sperimentato più che altro l’home working. E’ stato una sorta di test che ha consentito alle aziende di andare avanti. Tutti ci siamo adattati, ma se vogliamo parlare di futuro allora dobbiamo fare un vero salto culturale che, di sicuro, non è avvenuto nel corso del lockdown. Per questo salto svolgono un ruolo fondamentale i consulenti del lavoro, i professionisti che si trovano in prima linea in questo momento di grande cambiamento”.

Al webinar sono intervenuti anche Cesare Damiano, componente Cda INAIL ed ex ministro del Lavoro, e Vincenzo Silvestri, presidente Fondazione Consulenti per il Lavoro.

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