Myers 50 anni “Per emergere ho fatto il doppio, grazie Petrucci”

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PALERMO (ITALPRESS) – “Il colore della pelle mi ha creato qualche difficoltà, niente di irreparabile o invivibile. Non è stato comunque facile, ho dovuto rendere il doppio degli altri, ma il Signore è sempre stato con me e mi ha dato la forza di non arrendermi mai anche davanti a episodi magari non eclatanti ed evidenti, ma più sottili e invisibili che solo io potevo percepire”. Martedì 30 marzo Carlton Myers, icona della pallacanestro italiana, portabandiera azzurro alle Olimpiadi di Sydney del 2000 e fedele della Chiesa Cristiano Evangelica Pentecostale, compie 50 anni e ripercorre – in un’intervista all’Italpress – la sua vita, sportiva ma non solo. Da quando a 9 anni lasciò Londra dove era nato da padre caraibico e madre italiana per trasferirsi a Rimini. Un percorso per certi versi simile a quello di tanti ragazzi di oggi “anche se in un periodo storico diverso. Adesso si arriva in un Paese sofferente e anche insofferente, negli anni ’80 c’era un benessere economico fiorente e poi io avevo la mamma, la nonna, i miei cugini, la sera avevo un letto, ero curato e facevo una vita normale e comunque avevo anche mio papà seppure in Inghilterra”.
Per l’uomo che detiene ancora il record di punti in una gara (87) “il razzismo ci sarà sempre nel mondo, purtroppo…”, anche se per lui è stato tutto un pò diverso e il grazie va anche all’allora Presidente del Coni Gianni Petrucci, che lo scelse per l’importante ruolo ai Giochi del 2000 dopo la vittoria dell’Europeo della squadra di Boscia Tanjevic nel 1999. Famosa la scena di Myers con il pallone sotto la maglia dopo la finale vinta a Parigi. “Se sono riconosciuto ancora oggi per le strade è grazie a Petrucci – dice Myers all’Italpress -. Mi ha sempre detto che sarei stato ricordato soprattutto per i successi con la Nazionale, mi ha sostenuto nell’estate del ’98 in circostanze nelle quali avevo giustamente tutti contro e per questo non l’ho ringraziato abbastanza. Aveva ragione, anche se i tifosi della Fortitudo si ricordano scudetto e coppe”. Ripercorrere la carriera e la vita di Carlton Myers, sempre nel segno della pallacanestro vissuta a 360 gradi come “slancio, visione, tenacia” ed all’interno di un “percorso contrassegnato da prove, sfide, criticità e traguardi”, è come un film.
A iniziare dal particolare rapporto con i giornalisti che oggi ringrazia: “Sono stati i miei più grandi motivatori, soprattutto quelli più critici. Mi hanno alimentato, li ho sempre visti come nemici ma utili al mio scopo. Alcune cose che scrivevano non erano vere, mi ferivano, ma non lo facevo vedere e questo dava ancora più fastidio”. La carriera. “Il momento più buio è stato dopo la finale 1 contro Treviso quella volta che poi con la Fortitudo abbiamo vinto il titolo (contro cinque finali perse in carriera tra cui la famosa con il tiro da 4 di Danilovic, ndr), quelli belli è facile ricondurli allo scudetto, all’Europeo vinto con la Nazionale ed all’emozione della sfilata a Sydney. Allenatori? Papini il primo, Cardaioli, Pasini, Bernardi, Bianchini, Tanjevic, Messina, Recalcati in ordine sparso, ognuno è stato fondamentale. Giocatori? Mi sono sentito protetto l’anno di Vrankovic alla Fortitudo, c’era un totem in mezzo all’aria, avevo grande feeling con Darnell Valentine nei primi anni a Rimini e sono ancora legato affettivamente con Basile e Bonora”.
La sua personale battaglia contro le finali scudetto lo vede sotto, ammette che forse almeno un altro nel suo palmares ci stava, ma poi riflette “Uno scudetto o due in più avrebbe cambiato l’opinione della gente su di me? Non credo proprio”. E chissà come sarebbe andata nel 1994 se avesse accettato di provare per i New York Knicks. “Ero alla ricerca dello scudetto, mi sembrava un obiettivo incompiuto senza il quale non avrei potuto pensare ad altro. Non ho alcun rimpianto perchè non avrei avuto mia moglie Milena, i miei figli Joel e Naigel e soprattutto non avrei accettato Gesù Cristo nella mia vita come mio personale salvatore”. La religione è una componente fondamentale nella vita di Myers, convertitosi nel 2003, ma dopo 20 anni dal periodo in cui la nonna Anna lo invitava a leggere la Bibbia. “La prima me l’ha regalata che avevo 16 anni, aveva piantato il seme che poi è sbocciato. La mia più che una religione, la considero fede in Gesù”.
Il nome di Myers è legato anche a quello di San Patrignano dal 2010, anche se lui si considera un amico della comunità, oltre che di Andrea Muccioli ma anche del compianto Gian Marco e di Letizia Moratti. L’ex cestista confessa di non aver visto la serie “SanPa” che tanto ha fatto discutere. “Credo che la dipendenza sia difficile da sconfiggere, penso anche che in qualche occasione siano stati usati metodi poco ortodossi. Ma quante vite sono state salvate e quante perdute? Da genitore avrei detto ‘fate quello che ritenete utilè, certo togliere la vita quello mai. Come ogni cosa, ci sono i pro e i contro, ma so cosa avrei chiesto a Vincenzo Muccioli se lo avessi conosciuto e se fossi stato un genitore che in quel momento aveva quel problema”. Myers è partito dalla pallacanestro giocata per occuparsi anche, e con successo, di sociale. Non è attratto dall’idea di tornare su un parquet a qualsiasi titolo, ma ormai da tempo “sfrutta” la sua immagine e la sua competenza, ad esempio come Ambassador della Ferrero per il progetto Kinder+Sport, per promuovere i giovani e la pallacanestro. “Spero di essere un punto di riferimento per i giovani quando mi vedono ai camp che organizziamo, spero di dare un buon esempio quando interagisco con loro”.
(ITALPRESS).

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