L’eruzione popolare

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di Gianfilippo De Astis


Dubito che in Islanda conoscano il brano di Ivano Fossati “La Canzone Popolare” (*album: Lindbergh – 1992) e che quindi possano levarsi al mattino con in testa una frase che faccia: “Alzati che si sta alzando l’eruzione popolare…”, eppure in questi giorni io me li immagino proprio così, gli islandesi.

A pochi km da Reykjavík e con sole tre ore scarse di spostamento (inclusa un’ora di sentiero a piedi), si va infatti dispiegando nella valle di Geldingadalur l’eruzione più popolare che io ricordi da quando ho iniziato a studiare i vulcani e camminarci su.
Il fenomeno naturale della fuoriuscita di magma dalla crosta terrestre – cui assistiamo a ripetizione anche in questi giorni in Italia grazie alle spettacolari e potenti fontane di lava dell’Etna – ha assunto in questa disabitata e anonima conca della penisola di Reykjanes una forma ed uno spirito del tutto nuovi.

E’ un’eruzione trasformatasi in happening e nel rito collettivo, ormai rarissimo, di stare vicini tutti assieme a gozzovigliare contenti. Un posto dove si gioca alla playstation (coi droni) e dove sulla lava si cuociono salsicce, un posto dove si scattano decine di migliaia di foto (e di selfie), dove si gioca persino a pallavolo (sic!) in un felice ed entusiasmante ritrovo per giovani islandesi e non – le cronache riportano che nella valle riecheggi il suono di ogni sorta di lingua europea – asfissiati e repressi da un anno di pandemia (Figura 1). Poi tutto questo diverso parlare viene sparato a ripetizione su Twitter, Instagram, Facebook (il video dell’ormai celeberrimo Björn Steinbekk ha ricevuto più di 750000 visualizzazioni su You Tube mentre la partita di volley 160000 Like su Twitter).

Fotografia di Jesús Rodríguez Fernández: Eruption in Geldingadalur https://www.flickr.com/photos/jesusisland/51062162356
Figura 1 – L’area dell’eruzione vulcanica islandese (il piccolo plateau Fagradalsfjall, nella penisola di Reykjanes) era stata interdetta subito dopo l’eruzione, ma a partire dal 21 marzo è stato permesso alle persone di raggiungerla via trekking. Fotografia di Jesús Rodríguez Fernández: Eruption in Geldingadalur.

Ho letto da qualche parte che Geldingadalur significa “Valle dell’eunuco” e che tale nome sia dovuto all’usanza di portare là tori e montoni per farli evirare. Tuttavia, adesso, la ormai famosa conca non contiene solo una nuova, piccola, struttura vulcanica che ha prodotto una colata di lava alta fino a 20 metri. E non sta ospitando mandrie di animali alla mercé dei loro proprietari. Accoglie, invece, centinaia di persone, in gran parte di giovane età, che scorrazzano liberamente di qui e di là seppur sotto l’occhio vigile (?) di addetti o dipendenti del Department of Civil Protection and Emergency Management, la protezione Civile islandese. Ascoltano musica a palla, innalzano cori e bevono birre. Parecchie birre. E perché non uno striptease?

Foto e filmati parlano chiaro. E documentano che pure i vulcanologi sul posto non esitano a farsi selfie in pose più o meno serie (siamo esseri umani anche noi, ☺).

Così come ci parlano chiaro le immagini di quei paesi etnei dove il vento sventaglia e deposita, di volta in volta, ceneri e lapilli contenuti nelle nubi eruttive o le favolose e ipnotiche sequenze notturne, dove maestose colonne di lava si innalzano sul Cratere di Sud Est fino a mille metri ed anche più… ma filmate a qualche km di distanza, almeno. L’Etna non consente, adesso, visite ravvicinate ed anche i ricercatori INGV vi si avvicinano, pur mantenendosi a distanza di sicurezza, solo quando i segnali del monitoraggio indicano che un “parossismo” non è imminente (Figura 2). Però anche qui la partecipazione della popolazione, soprattutto con l’avvento dei social-media, non è ridotta o passiva ed oscilla – come in molti paesi occidentali – tra entusiasmo e rapimento estetico fino ad approdare al sospetto rabbioso e angosciato: cosa non ci dicono? Cosa ci nascondono?? Oddio, domani il vulcano scuoterà la mia casa da cima a fondo e per me e la mia famiglia sarà finita…

Etna 20210401 05
Figura 2 – Etna. Attività effusiva e lancio di brandelli di lava alle bocche poste alla base meridionale del Cratere di Sud-Est nella tarda serata del 31 marzo 2021. Fotografia di Boris Behncke (INGV-Osservatorio Etneo).

Ed ai più attenti appassionati di vulcani non sarà sfuggito che in Guatemala c’è il vulcano Pacaya in eruzione, da oltre 50 giorni, con una variabilità di stili eruttivi che Geldingadalur neppure si sogna! Se anche là le foto sui social ritraggono gruppetti di persone e/o famigliole che, su quelle instabili sedioline da spiaggia, stanno a guardare lo spettacolo ad una certa distanza, i numeri degli spettatori sono del tutto incomparabili rispetto a quelli della valle islandese. E gli spettatori stessi sono avvolti da un’aura pacifica e distaccata, non certo festante, in quello che si direbbe un precario equilibrio tra permanenza e fuga (Figura 3).

Esplosione al vulcano di Pacaya Marzo 2021. Fotografia di Marvin Grijalva. https://www.facebook.com/MarvinGrijalvaPhotography/photos/1785741134942639
Figura 3 – Esplosione al vulcano di Pacaya Marzo 2021. Il Pacaya (2252 m s.l.m) è un vulcano attivo ubicato nel municipio di San Vicente Pacaya nel Dipartimento di Escuintla (Guatemala). L’area è stata dichiarata Parco Nazionale sin dal 1963. Fotografia di Marvin Grijalva.

Il Pacaya – a 25 km dalla capitale guatemalteca, distanza confrontabile con i 32 di Reykjavík da Geldingadalur – ha generato un profondo cambiamento del paesaggio intorno al cratere che ha avuto conseguenze sulle piantagioni dell’area, coperte sia dalla lava sia dalla continua ricaduta di ceneri. Diventa facile, quindi, immaginare e dire che l’impatto dell’eruzione sui discendenti dei Maya sia stato totalmente diverso rispetto a quello registrato per i prediletti di Odino.

Vivere con i vulcani

L’esperienza di vivere in un territorio vulcanico può essere quindi estremamente turbolenta (come i flussi piroclastici) e difficoltosa o parecchio divertente, come sta accadendo in Islanda. In ogni caso, è evidente che chi “abita” queste aree debba essere preparato al cambiamento, a traiettorie spesso imprevedibili sia in positivo che in negativo.

La trasformazione del paesaggio che una qualsiasi eruzione provoca spaziando in raggi variabili da poche centinaia di metri a decine di km e le conseguenze sugli abitanti delle aree coinvolte sono, quindi, piuttosto strettamente legate a pochi, spesso semplici, fattori: alcuni naturali ed altri culturali.

In Islanda, la popolazione di Grindavík (il paese più vicino all’area dell’eruzione) è stata chiamata a dare un nome al vulcano nascente con un referendum ed un deputato si è già spinto a proporre Fagrahraun come nome, che letteralmente vuol dire Bella (fagra) lava (hraun). Viceversa, i ricercatori dell’Istituto di Scienze della Terra della Háskóli Íslands, nei primi reports, già scrivono “Geldingadalahraun lava”. O ancora molti giornali internazionali si riferiscono al nuovo vulcanetto col nome: Fagradalsfjall volcano.

L’unica cosa certa, al momento, è che quei simpatici ensemble di pecore, che chi è stato in Islanda ha di sicuro incontrato rigorosamente in trio, non potranno più andare a brucare in quella che da Valle dell’Eunuco si è trasformata, in poco tempo, in una mini-Mordor… E chissà cosa diventerà tra qualche giorno o mese!? Sulla base di un tasso di emissione di 5-7 metri cubi al secondo che si sta mantenendo piuttosto costante, l’IMO (Istituto meteorologico islandese che si occupa oltre che del meteo anche dello studio e del monitoraggio dei vulcani) prevede che il campo di lava di Geldingadalur possa tracimare nella valle successiva (la Merardalur) durante le festività Pasquali, probabilmente il 5 aprile ed è là che “i tifosi” saranno senz’altro già pronti con altre salsicce ed altre birre (come in ogni Pasquetta che si rispetti).

Le previsioni iniziali indicavano un’eruzione breve, di una o due settimane, ma ora sembra che questa potrebbe essere un’eruzione ben più lunga, alimentata da un magma proveniente da 17-20 km di profondità in accordo con i dati sia petrologici sia geofisici. Non va dimenticato che l’eruzione del Bárðarbunga del 2014, l’ultima avvenuta in Islanda, è durata 6 mesi e che ci sono esempi di eruzioni fissurali come questa, con flusso di magma dal Mantello alla superficie, che si protraggono per anni.

Sicché è concretamente possibile che lo “Stadio Fagrahraun” possa restare aperto ancora a lungo e al massimo vagare un po’ tra una valle e l’altra, diventando un’installazione (artistica?) permanente o un parco giochi di un certo rilievo, con tutte le facilities necessarie. Qui, infatti, da quasi subito, si è messo all’opera un poderoso team di Protezione Civile che ha lavorato per rendere la “struttura” sicura e frequentabile, creando percorsi per i visitatori, installando una connessione mobile, approntando strumenti che forniscano previsioni meteorologiche ad hoc per il sito e organizzando squadre di soccorso con sensori di gas, pronte ad intervenire in caso di emergenza. Hanno persino provveduto a igienizzare i corrimano installati e usati per salire lungo i tratti più impervi.

Che un’eruzione potesse prendere questa piega, francamente non me lo sarei mai aspettato. Ma anche in questo caso occorre ricordare che non è la prima volta che in Islanda le eruzioni imprimono una svolta alla vita della nazione: gli effetti catastrofici dell’eruzione del Laki (1783-1784) crearono l’ostilità degli islandesi verso i danesi amministratori/colonizzatori dell’isola, ponendo fine al loro monopolio commerciale. Circa un secolo dopo, l’eruzione dell’Askja (1875) produsse un tale peggioramento dei raccolti in agricoltura da scatenare un’ondata di emigrazione islandese nel Nuovo Mondo, come riportato in alcune riviste scientifiche [1].

Pericoli naturali, Comunità e… “Di Fronte a Gaia”

Di solito, ci sono decine di vulcani in eruzione contemporaneamente sul Pianeta (il Global Volcanism Program dell’Istituto Smithsonian li tiene aggiornati per tutti noi) ma i tre vulcani considerati qui, di cui uno nascente, ci consentono di comprendere quanto un stesso fenomeno naturale (i.e. nuovo magma invade un territorio preesistente) possa produrre effetti e reazioni quanto mai variabili. E questo perché variano il tipo di magma emesso, lo stile eruttivo e le caratteristiche del territorio interessato ed anche, un po’, le persone che vivono questa “invasione”. O quelle che i sociologi chiamano comunità.

Se l’eruzione di Reykjanes fosse stata anche lievemente esplosiva, con il principale aeroporto islandese di Keflavík a due passi, non ci sarebbe forse stata tutta un’altra allerta e non avrebbe, subito, tutt’Europa evocato il fantasma dell’indimenticabile vulcano islandese (l’impronunciabile Eyjafjallajökull), protagonista dell’evento eruttivo del 2010 che svelò l’intreccio tra geologia, economia e sociologia delle pratiche quotidiane come i viaggi aerei??

La minaccia sarebbe stata, perlomeno, assai simile a quella che incombe sull’Aeroporto di Fontanarossa a Catania quando l’Etna produce nubi di ceneri a ripetizione, come in questo periodo. Ma questa minaccia non si è concretizzata, e si è invece aperto un parco giochi…

Osservando tre diverse eruzioni in tre diversi punti del Pianeta, nell’arco di una decina di giorni, ci si accorge che dati e prospettive così differenti sono paradigmatiche di scenari e conseguenze estremamente diversi sui rischi che i sistemi vulcanici (naturali) possono generare. E da qui l’origine e l’andamento delle reazioni innescate negli abitanti di quelle aree (con riverberi di vario grado in tutta la popolazione mondiale). Volendo spingersi oltre, quel che questi eventi ci mostrano è la necessità di rivedere profondamente la relazione fra gli esseri umani (le loro reti comunitarie) e Gaia, il nostro Pianeta. la cui Natura non è stabile e immutabile così come non lo siamo noi [2].

L’interazione Gaia/Homo sapiens è inevitabile ed il sistema di azioni e reazioni è complesso, il che richiede sia una continua calibrazione degli sforzi tesi a ridurre i rischi (reali e percepiti) sia la consapevolezza che un rischio nullo non esiste. Neppure nell’allegro happening islandese, tuttora in corso, dove tutto potrebbe cambiare se solo il magma “decidesse” di fuoriuscire verso Sud Ovest, in mare… (https://en.wikipedia.org/wiki/Surtseyan_eruption)

Gli effetti provocati dall’Etna o dal vulcano Pacaya, sia sul paesaggio sia sui suoi abitanti, sono stati decisamente diversi, e potremmo definirli popolari si ma non in misura così estrema come quelli innescati dal neonato vulcano negli islandesi. Ricordando come la capitale islandese sia da anni una delle realtà culturali più interessanti di tutta Europa e vanti il più alto tasso di musicisti al mondo, non sarei per nulla sorpreso se l’eruzione del Geldingadalur/Fagradalsfjall/Fagrahraun – o come diavolo si chiamerà alla fine – ispirasse qualche giovane poeta o qualche nuovo brano dei Sigur Ros (già autori di “Brennisteinn” = burning rock ** e di “Hrafntinna”= ossidiana, scritte dopo l’eruzione dell’Eyjafjallajökull) o mettesse in luce una nuova Björk.
*https://www.youtube.com/watch?v=c5l4yajY_2U
** https://www.youtube.com/watch?v=Oc6zXSdYXm8

Bibliografia

[1] G. Vanderhill and D. E. Christensen.1963. “TheSettlement of New Iceland.” Annals of the Association of American Geographers, 53 (3): 350–363. doi:10.1111/j.1467-8306.1963.tb00454.x.
[2] Latour B. (2015). Face à Gaïa. Huit conférences sur le nouveau régime climatique. Ed. La Découverte, pp.268

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