Le eruzioni di epoca storica dell’Etna

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Incisione su lastra di rame acquerellata, raffigurante l’Etna in eruzione nel 1537 tratta da Münster, 1628

Parte 1. Dall’epoca greca alla fine del ‘500

di Stefano Branca e Jean-Claude Tanguy


La storia eruttiva dell’Etna negli ultimi tremila anni è oggi meglio conosciuta grazie a recenti ricerche multidisciplinari che hanno permesso di ricostruire con maggiore dettaglio l’attività storica del vulcano siciliano.

Durante la realizzazione della nuova Carta geologica dell’Etna è stata effettuata una revisione della storia delle eruzioni grazie ad un approccio multidisciplinare di tipo stratigrafico, radiometrico, archeomagnetico, paleomagnetico e storico (Figura1).

Il “periodo storico” dell’Etna comprende circa tre millenni ed in base ad una opinione consolidata si ritiene che le eruzioni del vulcano siciliano durante questo intervallo siano ben conosciute attraverso le informazioni delle fonti storiche. In realtà, sono presenti enormi lacune temporali nei documenti storici; ad esempio non ci sono validi resoconti in merito al periodo compreso tra il 252 d.C. e il 1062. Inoltre, andando più indietro nel tempo, le fonti di epoca Greco-Romana sono spesso inaffidabili e soprattutto non sono così accurate da permettere di individuare le bocche eruttive o l’estensione spaziale delle colate laviche. Ne consegue che i principali parametri vulcanologici delle eruzioni, fra cui la stima del volume dei prodotti vulcanici, risultano molto dubbi o completamente sconosciuti. Questi dati sono fondamentali per ricostruire le dinamiche del vulcano e per una ricostruzione attendibile dell’attività eruttiva. Pertanto, per superare i limiti di conoscenza legati al solo uso delle fonti storiche, durante la realizzazione della nuova carta geologica dell’Etna è stato applicato un approccio multidisciplinare.

Recenti datazioni archeomagnetiche e radiometriche (misure 226Ra-230Th), hanno evidenziato che l’80% delle colate laviche “attribuite” sulla base di fonti storiche antecedenti al XVIII secolo non erano state prodotte realmente dalle eruzioni citate nei documenti storici. La discrepanza di alcune età attribuite nella cartografia geologica precedente variava da secoli fino al millennio.

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Figura 1 – Mappa delle eruzioni storiche dell’Etna dal VI secolo a.C. ad oggi (da Branca & Abate, 2019). L’acronimo delle colate laviche è quello riportato nel testo. a) Diagramma a torta che mostra le percentuali delle eruzioni laterali avvenute nei settori Sud, Ovest e Nord dell’Etna in epoca storica.

I documenti storici riguardanti le eruzioni dell’epoca Greco-Romana e medievali sono scarsi e generalmente non precisi sull’ubicazione dei prodotti vulcanici; solo una colata lavica di questo periodo può essere attribuita ad una data precisa riportata nelle fonti storiche. Si tratta di quella che ha raggiunto il mare nel 396 a.C. e bloccato l’avanzamento dell’esercito cartaginese, in accordo con quanto narrato da Diodoro Siculo. Questa eruzione corrisponde al vasto campo lavico presente presso l’attuale villaggio di Santa Tecla (mg nelle Figure 1 e 2), generato dal cono di scorie del Monte Gorna, in quanto è l’unica colata lungo la costa la cui età archeomagnetica è compatibile con l’evento riportato da Diodoro. Invece, le fonti delle eruzioni riportate nel 479 e nel 425 a.C. non permettono di localizzare i prodotti di tali eventi. Il vasto campo lavico generato dal M. Arso (aa), nel basso versante sud-occidentale del vulcano, a monte di S. Maria di Licodia, ha un’età radiometrica (misurata con il metodo 226Ra-230Th) di 920 a.C. ± 550 e pertanto potrebbe corrispondere ad uno di questi due eventi riportati da Tucidide.

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Figura 2 – Mappa delle eruzioni dell’Etna avvenute durante l’epoca Greco-Romana (734 a.C. – 476 d.C.) e durante l’Alto Medioevo (476-1000) (da Branca et al., 2015). L’acronimo delle colate laviche è riportato nel testo.

Nel 140 a.C. lo storico romano Julius Obsequens riporta dei generici “fuochi” più grandi del solito, riferibili probabilmente ad un’attività sommitale. In seguito due grandi eruzioni laterali, localizzate nel basso versante meridionale ed in quello sud-orientale, hanno generato i coni di Monpilieri (ir) e di Salto del Cane (sd) (Figg. 1 e 2). Tenendo in considerazione l’incertezza nelle età ricavate con i metodi archeomagnetici e 226Ra-230Th, queste eruzioni potrebbero essere quelle avvenute nel 135 e nel 126 a.C., in accordo con Julius Obsequens che in quelle date riporta un’intensa attività sia esplosiva che effusiva.

Nel 122 a.C. avvenne la grande eruzione pliniana che produsse la caldera de Il Piano ed ingenti danni alla città di Catania in conseguenza di una notevole caduta di materiale piroclastico. In merito all’attività successiva al 122 a.C. non è possibile definire quando accaddero le eruzioni di Tacca delle Neve (ne) e di Caselle, a causa dell’elevata incertezza dei risultati delle datazioni (età radiometrica 200 a.C. ± 200).

La colata di Tacca delle Neve, a ovest dell’area craterica, corrisponde presumibilmente ad un trabocco sommitale mentre il limitato affioramento della colata di Caselle rappresenta il fronte lavico di un’eruzione avvenuta nella Valle del Bove in epoca romana. Durante questo periodo le fonti storiche (Lucano, Virgilio) riportano negli anni 49-44 a.C. un’attività esplosiva molto violenta e una o più colate verso ovest che potrebbero corrispondere alle grandi eruzioni dei Monti Minardo (mm) e Ruvolo (rv), le cui lave hanno una età radiometrica e archeomagnetica compatibile con questa epoca.

Nel 44 a.C. un evento esplosivo sommitale molto violento di tipo subpliniano produsse un deposito piroclastico di caduta sul versante nordorientale dell’Etna. Le ceneri si dispersero fino a Reggio Calabria. Poche e generiche indicazioni si hanno per gli eventi riportati nel 36 a.C. da Appiano e nel 32 a.C. da Dione Cassio. Infine, Strabone riporta di un’attività persistente all’interno della Caldera del Piano intorno al 10-20 d.C., e poche indicazioni ci sono sull’origine di boati sentiti a Messina dall’imperatore Caligola (riportati da Svetonio) intorno al 38-40 d.C.

L’eruzione avvenuta nel 252, dopo il martirio di Santa Agata, è l’unica chiaramente riportata dalle cronache del primo millennio dell’Era Cristiana. I recenti dati stratigrafici e quelli geocronologici hanno permesso di attribuire l’evento del 252 al cono di Monpeloso e alla sua breve colata (mp nelle figure. 1 e 2). Infatti, l’attività esplosiva che ha generato il grosso cono di Monpeloso potrebbe aver spaventato gli abitanti dell’intero fianco meridionale che si sentirono minacciati da vicino sebbene la colata non raggiunse Catania, in quanto i fronti più avanzati si attestarono alla quota minima di circa 450 m. Questo non-evento fu considerato un miracolo secondo i Bollandisti, gruppo di eruditi che ha lavorato alla compilazione degli Acta Sanctorum, raccolta critica di fonti documentarie sui santi. I nuovi dati stratigrafici della carta geologica unitamente alle datazioni escludono, pertanto, la presenza nell’area urbana di Catania della colata lavica attribuita all’eruzione del 252 come riportato nelle precedenti carte geologiche. La colata lavica attribuita al 252 dagli autori precedenti e affiorante nell’area urbana invece risulta avere un’età radiometrica intorno al 2700 a.C. (Colata di S. Giovanni Galermo nella Carta Geologica del 2011).

Durante la fine dell’epoca romana, due importanti eventi non sono stati menzionati in alcun resoconto storico, sebbene essi accaddero nel basso versante sud-orientale (Figure 1 e 2). In particolare, si tratta delle colate laviche di San Giovanni la Punta (sq, anno 350 ± 50) e di Piazza Sant’Alfio (oi, anno 450 ± 50). Il relitto di un segmento della fessura eruttiva della colata di Piazza Sant’Alfio potrebbe essere attribuito ad un bastione di scorie, la cui età archeomagnetica è 450 ± 50 (sdb), che è sovrapposto al cono di M. Salto del Cane. Nello stesso periodo nel versante occidentale si verificarono tre importanti eruzioni laterali denominate: Rifugio Palestra (fp, anno 250 ± 100), Albero Bianco (ab, anno 350 ± 100) e Bronte (nt, anno 450 ± 50) (Fig. 2).

Durante l’Alto Medioevo (dal 476 all’anno 1000 circa), sono state identificate sei eruzioni laterali nei versanti meridionale ed orientale: Fossa della Nave (ty, anno 500 ± 50), Monte Solfizio (fs, anno 550 ± 50), Due Monti (dm, anno 550 ± 50), Millicucco (ml, anno 700 ± 80), Gallinara (gx, anno 700 ± 80), Primoti (ix, anno 700 ± 50) (Fig. 2). In questo periodo almeno un’eruzione accadde, anche, nel versante occidentale (Rifugio La Caccia, ip, 800 ± 50), due nel versante nord-occidentale (Murazzo Rotto, vt, anno 950 ± 50, e Serra del Monte, el, anno 950 ± 50), ed una in quello nord-orientale (M. Rinatu, ri, anno 1000 ± 50) (Fig. 2).

Tra il 1000 circa ed il 1300 ebbero luogo importanti eruzioni laterali a quote basse nei vari versanti del vulcano (Fig. 1). Queste eruzioni hanno formato il grande cono del Monte Sona e la sua lunga colata lavica (oh, anno 1000 ± 30) che ebbe un rilevante impatto sul versante sud-occidentale. In seguito, il campo lavico di Scorciavacca (si, anno 1020 ± 40) generato da una fessura sotto 1000 m di quota interessò il versante nord-orientale.

Il grande cono del M. Ilice (mi, anno 1030 ± 30) si formò a 800 m di quota nel versante sud-orientale, producendo un ampio campo lavico che raggiunse la costa in corrispondenza dell’attuale località di Stazzo. Sul basso versante occidentale la colata del M. Gallo (lw, anno 1060 ± 50) potrebbe corrispondere a quella menzionata dal monaco benedettino Goffredo Malaterra nel 1062, colata che fu visibile dalla città di Troina, a circa 28 km chilometri di distanza. Sempre in questo versante fu emessa sia la colata Galvarina (gl, anno 1120 ± 30) che quella generata dal M. Arso Ovest (ar, anno 1150 ± 30).

L’eruzione dei Monti Arsi di Santa Maria (sm, anno 1160 ± 20), localizzati nel basso versante meridionale a 460-360 m di quota, produsse una breve colata lavica che raggiunse la costa presso Guardia in località Ognina, circa 2,3 km a NE della città medievale di Catania (Fig. 1). Tale colata lavica nella precedente cartografia geologica era stata attribuita all’eruzione del 1381 in base alla scarna fonte di Simone da Lentini, in cui però non c’è nessun riferimento ad una colata che abbia raggiunto la costa nei pressi di Catania. Tale colata lavica potrebbe corrispondere a quella citata da altri autori che riportano un’eruzione avvenuta in un periodo precedente il grande terremoto del 1169 che devastò Catania uccidendo circa 15.000 persone. Il motivo secondo cui gli scrittori contemporanei hanno rivolto poco attenzione nelle fonti alla descrizione della colata lavica potrebbe essere dovuto al fatto che l’eruzione era stata considerata poco importante se paragonata ai disastrosi effetti del terremoto.

Nello stesso periodo, nel basso versante nord-orientale, si verificò un’eruzione che interessò il territorio di Linguaglossa (li, anno 1180 ±30). Nella precedente cartografia, del Sartorius von Waltershausen del 1844-1959 e di Romano ed altri del 1979, la colata di Linguaglossa era stata attribuita erroneamente in base alle fonti all’eruzione del 1566, la cui lava invece è localizzata nel medio versante settentrionale (Fig. 1). In seguito, lungo il fianco occidentale e sud-occidentale del vulcano si verificarono quattro eruzioni laterali: M. Forno (of, anno 1200 ± 20), Casa Costarelli (tl, anno 1250 ± 20), M. Nero degli Zappini (za, anno 1250 ± 20) e Montarello (lq, anno 1270 ± 20).

Nel 1285 nella Valle del Bove si aprì una fessura eruttiva che generò una lunga colata lavica che provocò danni sia alle aree coltivate che alle foreste del basso versante orientale (Fig. 1). La colata lavica di questo evento eruttivo è la più antica che può essere attribuita ad un resoconto di una fonte grazie all’indicazione di un elemento architettonico ancora oggi riconoscibile sul territorio, la piccola Chiesa Bizantina di Santo Stefano in località Dagala del Re, nel basso versante orientale (Fig.3).

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Figura 3 – a) Modello digitale del terreno che mostra l’ubicazione della Chiesa bizantina di Santo Stefano e la colata lavica del 1285 che ha investito l’area di Dagala del Re nel basso versante orientale e costeggiato il lato settentrionale della chiesa. b) Veduta della Chiesa di Santo Stefano (da Branca & Abate, 2019).

Tra il 1300 ed il 1600, in accordo con i dati geologici e le fonti storiche, si verificarono dieci rilevanti eruzioni laterali (Fig. 1). Nel basso versante sud-orientale la fessura del 1329 generò a 550 m di quota il cono del Monte Rosso vicino all’abitato di Fleri. La colata lavica produsse danni considerevoli ai campi coltivati fino ai sobborghi dell’attuale città di Acireale. Al contrario, nell’alto versante nord-occidentale, la colata di Rifugio Maletto (rm, anno 1350 ± 50) passò inosservata. Un’eruzione avvenuta nel 1381 è riportata nel breve riferimento di Simone da Lentini dove si citano danni ai territori coltivati di Catania a causa di una colata lavica. Sia i dati stratigrafici che quelli radiometrici escludono la presenza di una colata attribuibile alla fonte del 1381 vicino la città di Catania. Considerando che l’area coltivata a quel tempo si estendeva fino a circa 800 m di quota la colata di questo evento potrebbe essere stata sepolta dalle eruzioni dei secoli successivi come quelle avvenute nel 1537 e nel 1669.

L’eruzione del 1408 è ben descritta nelle fonti poiché essa si verificò nel basso versante sud-orientale, provocando ingenti danni alle aree coltivate e distruggendo una parte del paese di Pedara (Fig. 1). Mentre nel 1444 è riportata genericamente un’eruzione avvenuta nel versante meridionale, indicando una colata “verso Catania”, accompagnata dal crollo della vetta del Cratere Centrale. Stranamente, gli osservatori contemporanei che citano l’evento del 1408 non riportano quello del 1444, e viceversa. La colata del 1444, come quella del 1381, probabilmente è stata completamente sepolta dalle colate dei secoli successivi che hanno interessato questo versante dell’Etna. Nel 1446 un’altra eruzione laterale si originò nella Valle del Bove e la colata raggiunse l’area dell’attuale paese di Zafferana. Un’eruzione sommitale accompagnata da un trabocco lavico è segnalata dalle fonti storiche nel 1447.

Le eruzioni del 1536 e 1537 interessarono il medio versante meridionale, causando danni alle aree coltivate, al paese di Nicolosi e al casale di Monpilieri. Nel 1566 si aprì una lunga fessura eruttiva nel fianco settentrionale, presso la località Selletta di Collabaxia, e la colata lavica si arrestò in località Jannazzo a nord dell’attuale paese di Passopisciaro (Fig. 1). Infine, fonti storiche descrivono un’eruzione laterale caratterizzata da intensa attività esplosiva che causò danni alle aree coltivate, attribuibile al periodo 1579 o 1580. Riguardo tale evento, una scarna fonte dell’abate Rocco Pirri indica che la colata si diresse verso il territorio di Acireale. Di tale evento non si ha riscontro né nella sequenza stratigrafica né dai dati radiometrici, pertanto se ne deduce che i prodotti di tale eruzione siano stati totalmente sepolti dall’attività successiva.

Nota: i riferimenti bibliografici usati per questo testo saranno pubblicati alla fine della seconda parte dell’articolo.

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