L’Artico di nuovo in fiamme: forti segnali di ripresa degli ‘incendi zombie’

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L'allarme del Copernicus Atmosphere Monitoring Service (CAMS) Share on facebook Share on twitter Share on whatsapp Share on email Share on print


ROMA – Mentre la stagione Boreale degli incendi sta iniziando a prendere piede nell’emisfero settentrionale, gli scienziati del Copernicus Atmosphere Monitoring Service (CAMS) stanno tenendo d’occhio l’attivita’ nel Circolo polare artico mentre i satelliti stanno iniziando a rilevare incendi attivi.

CAMS e altri scienziati stanno valutando la possibilita’ che si tratti di incendi “zombie” nell’Artico, sebbene questa ipotesi non sia stata confermata al momento, data l’assenza di misurazioni del terreno. CAMS, attuato dal Centro europeo per le previsioni meteorologiche a medio termine (ECMWF) per conto della Commissione europea, controlla costantemente l’intensita’ e le emissioni degli incendi in tutto il mondo.

A seguito degli incendi senza precedenti dello scorso anno in alcune aree dell’emisfero settentrionale, gli scienziati CAMS hanno dato una prima occhiata agli incendi del Circolo polare artico per il 2020 ricorrendo ai dati del Global Fire Assimilation System (GFAS), che utilizza le osservazioni dei satelliti per fornire stime giornaliere delle emissioni e informazioni sull’intensita’ degli incendi, che vengono poi confrontate con la media degli anni precedenti per costruire un quadro a piu’ lungo termine. I satelliti hanno osservato un’attivita’ degli incendi “abbastanza tipica” per la regione, che dovrebbe aumentare nelle prossime settimane man mano che la stagione avanza, secondo le stime della climatologia 2003-2019.

Il rischio di incendi puo’ essere aggravato da condizioni insolitamente calde e secche, e ci sono gia’ state a marzo e aprile di quest’anno temperature record in Europa, rileva CAMS. Il Copernicus Climate Change Service (C3S), ha infatti riferito che le temperature di aprile 2020 erano superiori alla media nella Groenlandia settentrionale e costiera centrale e in gran parte della Siberia.

“Sappiamo dai dati climatici forniti da C3S che le regioni del Circolo polare artico piu’ colpite dagli incendi nel 2019 stavano vivendo condizioni di superficie piu’ calde e asciutte, fornendo l’ambiente ideale agli incendi per bruciare e persistere”, spiega Mark Parrington, capo scienziato CAMS e esperto di incendi.

I segnali che gli incendi “zombie” potrebbero essersi riaccesi nel Circolo polare artico sono motivo di preoccupazione poiche’ gli incendi dello scorso anno nella regione sono stati senza precedenti, emettendo circa 50 megatonnellate di biossido di carbonio nel solo giugno 2019, l’equivalente delle emissioni annue totali della Svezia.

“Abbiamo visto osservazioni satellitari di incendi attivi che suggeriscono come gli incendi ‘zombie’ potrebbero essersi riaccesi, ma cio’ non e’ stato ancora confermato dalle misurazioni del terreno- spiega Parrington- Le anomalie sono abbastanza diffuse nelle aree che bruciavano l’estate scorsa. Se questo e’ il caso, quindi, in determinate condizioni ambientali potremmo vedere un effetto cumulativo della stagione degli incendi dell’anno scorso nell’Artico che alimentera’ la stagione imminente, e potrebbe portare di nuovo a incendi su larga scala e a lungo termine nella stessa regione”.

Gli scienziati CAMS hanno gia’ monitorato l’attivita’ degli incendi in altre parti del mondo durante la stagione degli incendi tropicali, che recentemente si e’ conclusa. Le emissioni per la regione dei Caraibi, inclusi Paesi come Belize, Guatemala, Honduras, Nicaragua, Panama e la penisola dello Yucatan in Messico, sono stati ben al di sopra della media 2003-2019. Di conseguenza, l’intensita’ degli incendi, nota come Fire Radiative Power (FRP), in questi paesi e’ risultata essere ben al di sopra della media 2003-2019.

Al contrario, le emissioni e l’intensita’ degli incendi nel sud-est asiatico, tra cui Cambogia, Laos, Malesia e Myanmar, sono state piu’ vicine alla media, con Thailandia e Vietnam che si hanno fatto registrare valori inferiori alla media. Una regione particolarmente colpita dagli incendi e’ stata l’Indonesia, che ha subito uno degli incidenti piu’ intensi in quasi 20 anni. Gli scienziati CAMS hanno stimato che gli incendi indonesiani, iniziati nell’agosto 2019 e terminati solo tre mesi dopo, hanno pompato in atmosfera almeno 708 megatonnellate di CO2. L’idea e’ che le condizioni piu’ asciutte della media, combinate con la combustione di torbiere ricche di carbonio, siano state la principale causa dei roghi.

Gli scienziati CAMS hanno stimato che l’intensita’ di fuoco totale giornaliera sia stata superiore alla media degli ultimi 16 anni. La foschia tossica risultante non solo ha avuto un effetto dannoso sulla popolazione locale, ma ha anche causato danni permanenti alle foreste naturali e alla fauna selvatica.

“Abbiamo anche monitorato attentamente le emissioni e l’intensita’ degli incendi nelle regioni tropicali e mentre alcune regioni erano leggermente al di sopra della media, altre si erano leggermente ridotte- conclude Mark Parrington, capo scienziato CAMS e esperto di incendi- Cio’ dimostra che sebbene alcune aree siano piu’ a rischio di una maggiore attivita’ di incendio in condizioni piu’ calde/piu’ asciutte, non e’ mai facile definiore un quadro chiaro. Il nostro lavoro prevede il monitoraggio da vicino di questi incendi, sia per le emissioni che per l’intensita’, in modo da poter costruire una rappresentazione a lungo termine nel tempo per capire il loro impatto sulla composizione atmosferica e informare i responsabili politici e le organizzazioni che stanno valutando le misure di mitigazione”.

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