Coronavirus, i curati in Veneto col plasma sono andati bene

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In Veneto tutti i pazienti trattati hanno avuto miglioramenti dopo la somministrazione: molti sono stati dimessi e gli altri sono in fase di riabilitazione Share on facebook Share on twitter Share on whatsapp Share on email Share on print


VENEZIA – Tolto il caso del malato deceduto (era in terapia intensiva da 14 giorni e con altre gravi patologie “che hanno impedito qualsiasi effetto del plasma”), i 23 pazienti che in Veneto hanno ricevuto il plasma dei guariti dal coronavirus “in linea di massima sono andati bene: sono tutti viventi, molti sono stati dimessi e gli altri sono in fase di riabilitazione”. A fare il punto è oggi Giustina De Silvestro, direttore dell’immunoematologia dell’Azienda ospedaliera di Padova dove appunto è partita la sperimentazione di questa terapia, incontrando gli organi di informazione al fianco del presidente del Veneto, Luca Zaia. E’ stata l’occasione per rimettere in fila i passaggi che hanno portato all’avvio del percorso terapeutico, per evidenziare “la notevole disponibilità” dei donatori, e ribadire che si andrà avanti anche e soprattutto in previsione della possibile seconda ondata di Covid per l’autunno. Cioè per “creare scorte di plasma utilizzabili se dovessimo avere una recrudescenza” del coronavirus, ma “in fase molto più precoce”, spiega De Silvestri. Cioè da usare ‘subito’.

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Qui sta una differenza tra i 23 casi veneti e quelli “non confrontabili” di Pavia perchè erano “pazienti molto meno gravi, trattati molto precocemente in reparto medico”. In Veneto dopo la donazione di plasma “nessuno ha dato risposta entro 24-36 ore come a Pavia, però tutti hanno avuto miglioramenti dopo la somministrazione“, specifica De Silvestro. Dunque su questa strada si proseguirà, forti dei primi passi (il plasma è stato donato anche a quattro casi ‘compassionevoli’ cioè su cui si presume che la cura non abbia efficacia) e della disponibilità di donatori: finora 199, ma solo a Padova c’è una lista d’attesa di 350 con appuntamenti prenotati per appurare che sia possibile raccoglierne il plasma, e gli altri dipartimenti veneti “sono sugli stessi livelli.

Del resto donare il plasma ‘giusto’ per combattere il Covid-19 non è così ‘automatico’: “Dopo l’appello del presidente Zaia, abbiamo avuto una grande offerta di donatori”, racconta De Silvetro, ma non tutti i guariti sviluppano il dosaggio di anticorpi sufficiente. Serve un ‘titolo’ anticorpale superiore a 160 e finora il 50% dei donatori lo aveva inferiore a 80 e solo uno su tre uguale o sopra 160. Inoltre, da ogni donatore si raccolgono tre ‘unità terapeutiche’ (quindi fin qui un totale di 481): ne sono state trasfuse 101 ai 23 pazienti, il che però porta a dire che “con un donatore non riesco a trattare un paziente, ci vuole un rapporto di un donatore e mezzo” per ogni malato, spiega De Silvestro. Ad ogni modo, verrà raccolto il plasma di tutti i donatori anche se con titolo anticorpale troppo basso: siccome proviene da chi ha vinto il coronavirus, è quindi ha un valore “plus” per dirla con De Silvestri, sarà conservato e usato per scopi clinici o per prodotti plasma derivati. In altre parole, potrà anche essere usato su altri malati per trasfusioni. “Non si butta niente“, dice in battuta De Silvestro. Per donare si deve avere dai 18 anni in su e si può arrivare, con una deroga, fino a 65 anni, ma De Silvestro sconsiglia di effettuare la prima donazione se si è superati i 60.

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Queste condizioni, sommate al fatto che non devono esserci controindicazioni mediche alla donazione, restringono di già “la quantità delle disponibilità” di plasma iperimmune. Detto che l’avvio del progetto aveva passaggi tecnici da rispettare e quindi di ritardi non si potrebbe parlare per De Silvestro, ora qualche bisogno di rinforzi c’è: “Serve personale amministrativo per non lasciare inevasa nessuna risposta a offerte di donazioni” e su questo si è fatta apposita richiesta.

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