Che cosa passa per la testa di un uomo che fa revenge porn

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Del revenge porn Silvia Semenzin è un’esperta inizialmente involontaria. Sociologa e ricercatrice all’Università degli Studi di Milano, si occupa di giustizia digitale e si concentra soprattutto su privacy, discriminazione algoritmica, violenza online. Quattro anni fa – versione breve di una lunga storia – ha scoperto di conoscere alcuni degli uomini presenti in una “chat del calcetto” su Whatsapp, dove invece di darsi appuntamento per le partite ci si passava contenuti a sfondo sessuale. Oggetto di quelle foto e video, spesso realizzati con telecamere nascoste, erano donne che non avevano dato alcun consenso alla diffusione di quei materiali. Si è aperto un mondo. Di fronte alla reazione comune – è normale, lo fanno tutti – Semenzin ha alzato la voce, e la posta. È diventata una delle promotrici della campagna #intimitàviolata che ha condotto alla legge, la 69/19, che combatte (anche) questo reato. E qui spiega che cosa passa per la testa degli uomini che fanno revenge porn.


Primi effetti e difetti della 69/19, altrimenti detta Codice Rosso

Da un anno e mezzo in Italia il revenge porn è reato, ma la legge non ne limita la diffusione. Ogni giorno vengono aperte in media tre inchieste, ma se due donne presentano denuncia, altre otto tacciono. Perché la vittima prova vergogna, perché non sa come ottenere giustizia e perché deve fornire il materiale a sostegno della querela. Sta a lei, infatti, produrre le prove e dimostrare il dolo: e cioè che qualcuno la stia danneggiando, e che lo faccia con cattive intenzioni.
Il cosiddetto Codice Rosso è la norma varata per tutelare le vittime di violenza domestica e di genere: tra gli illeciti c’è, appunto, il revenge porn, la diffusione di materiale intimo a contenuto sessualmente esplicito senza il consenso del soggetto rappresentato. L’ultima comunicazione del Ministero di Giustizia parla di 1.083 casi in 12 mesi, ma è un dato fermo al 31 luglio 2020. Dalla scorsa estate a oggi, si crede che quei 1.000 e più casi debbano essere ricalcolati al rialzo del 40%. In generale, i report sulla violenza on line mostrano che le donne sono tornate ad essere le vittime predestinate del web: dal primo lockdown c’è stata un’impennata dei forum e dei gruppi Telegram dedicati al revenge porn.

Insomma: la legge non ha funzionato come deterrente

Chi diffonde materiale intimo a contenuto sessualmente esplicito senza il consenso del soggetto rappresentato rischia la reclusione da 1 a 6 anni e una multa da 5 mila a 15 mila euro: il capitolo della pena è contenuto in un emendamento successivo, un po’ troppo scarno. La 69/19 è infatti arrivata sull’onda della campagna mediatica che la chiedeva, ma non ha preso in considerazione l’eterogeneità del fenomeno, ignorando ad esempio la natura di piattaforme come Telegram: risulta frettolosa e ricalca la legge sullo stalking. Telegram ha sede a Dubai e non risponde dei contenuti dei suoi gruppi. E il fatto che tocchi alla vittima procurarsi le prove del reato fa arenare l’inchiesta ben prima che possa arrivare al giudice.

L’uovo e la gallina: nasce prima il social media o il maschio tossico?

Il problema è ancora, e innanzitutto, culturale: in Italia persistono gli stereotipi di genere. Che cosa contraddistingue una vera donna, e cosa rende un uomo degno di questo nome? Sappiamo che nel 2021 una donna non è ancora padrona della propria libertà sessuale: se è nuda in una foto, e la foto finisce in giro, la vergogna è tale che nel 51% dei casi pensa al suicidio come a una via d’uscita. Viceversa, l’uomo è autorizzato, oggi come ieri, ad abusare della sfera sessuale: prima delle chat per il revenge porn c’era l’invio di mms, e l’usanza di attaccare scritte e foto ai muri esiste ancora. La domanda è: perché si continua a giustificare queste azioni come fossero scherzi?

La chat da spogliatoio, questa conosciuta

La condivisione non consensuale di materiale intimo non è la conseguenza di un problema tra due persone, ma ciò che serve per consumare un rito collettivo. L’immagine esce dalla sfera privata in cui era stata creata e finisce in un flusso incontrollabile, creato da un gruppo di uomini che hanno bisogno di fare gruppo. Potrebbe avvenire su altri terreni, invece usano il corpo della donna come anello di congiunzione: dichiarano la propria eterosessualità facendo ricorso all’osceno e alla manipolazione, una forma di pedaggio che si offre per essere accettati dagli altri. Alcuni arrivano a registrare un vocale per la chat mentre fanno sesso: cosa c’entra la vendetta? Nulla, resta sullo sfondo di una definizione di comodo: il revenge porn.

Perché gli uomini non sanno fare gruppo in modo sano?

Una volta si limitavano a raccontare agli amici cosa avevano fatto, adesso lo possono mostrare e dimostrare. A volta anche in diretta. Ma quando il corpo di una donna diventa un corpo digitale di cui l’uomo può disporre come crede, il paradigma viene totalmente stravolto: il non rispetto della privacy è solo il primo grado di una serie di violazioni. Sono entrata in 50 di questi gruppi, ci sono rimasta per tre mesi per la mia ricerca sulle cause culturali di queste conversazioni e ci torno se mi viene chiesto di fare delle verifiche. Ci chiamano cagne e troie. Siamo pezzi di carne da votare, categorizzare, archiviare in cartelle dedicate. Siamo i giocattoli degli uomini, che si sfidano a chi la spara più grossa, in un crescendo di violenza che spaventa.

Il sesso piace a tutti, “quel” sesso piace solo a loro

Se un atto sessuale necessita di consenso, nel revenge porn è la mancanza di consenso ad eccitare, perché genera la sensazione di dominare le donne: da oggetto del piacere dell'uomo, la donna diventa oggetto del godimento della violenza contro di lei. Piace la sensazione di stare sopra, di schiacciare, di controllare: è una modalità talmente assodata che diventa invisibile. È il motivo per cui i media dovrebbero fare attenzione quando si riferiscono al revenge porn parlando di soggetti malati. No, la stragrande maggioranza degli uomini che diffonde questi materiali è normale: è il nostro vicino di casa, è il capoufficio, è lo studente delle medie, è un nostro amico.

E se cominciassimo a rivedere le parole che usiamo?

Forse la stessa terminologia è sbagliata: il revenge porn parla di vendetta, e in questo modo dà per scontato che la vittima abbia fatto qualcosa che meriti una punizione. Anche la legge ricalca il concetto di vendetta, ma la vendetta non è sempre la matrice di queste azioni, oltre al fatto che non si tratta nemmeno di reale pornografia: non basta che il corpo sia nudo per essere pornografico, la pornografia è un’altra cosa. Dovremmo dire “condivisione non consensuale di materiale intimo”: espressione più lunga, più scomoda ma più giusta.

No, non è una questione di guerra tra i sessi

Le ragazze e le donne protagoniste di questi scambi sono in genere ignare, ma possono anche essere consapevoli di ciò che accade. Si viene hackerate. Ci si fa un selfie che si crede resterà privato. Oppure, ed è spesso il caso delle minorenni, si cede a una richiesta perché convinte di dover assecondare una richiesta maschile. Sono forme di ricatto emotivo ancora molto in voga. Qui non si tratta di scatenare la guerra tra sessi, ma di insegnare alle donne di pensarsi indipendenti dal desiderio maschile e agli uomini a non esercitare la sopraffazione come modalità di relazione.

Quando cominceremo a dire che sì, è uno stupro digitale?

Siamo ancora di fronte a un tipo di violenza che viene banalizzata, ridotta a goliardia spinta, invece di essere vista per quello che è: uno stupro digitale. Se se ne parla, succede nelle frange più giovani: in quelle più adulte il concetto non passa. Quando ne ho discusso pubblicamente, gli uomini mi hanno attaccata, insistendo sulla differenza: uno stupro, per loro, implica la violazione fisica di un corpo. Entrare nella mia sfera intima senza il mio consenso e ridurmi a schiava delle loro perversioni, anche se nella dimensione digitale, per me è e resta una forma di stupro.

Che cosa si rompe nel cervello di un uomo che fa revenge porn?

Sto cercando di capirlo. Forse non si è più abituati a esercitare l’empatia. Sono uomini che forse rispettano la propria madre e la propria fidanzata, ma che di fronte alla storia di una notte pensano improvvisamente che la donna non meriti considerazione. È come se ci fosse un cortocircuito. Siamo ancora lì: le donne vanno viste, innanzitutto, come esseri umani, prima che come oggetto del desiderio. Perciò con il mio collettivo, Virgin & Martyr, mi occupo di andare nelle scuole per fare educazione sessuale ed emotiva: i ragazzini apprendono il sesso attraverso la pornografia on line e confondono la fiction con la realtà. Come vogliamo che apprendano le basi del consenso se tutto quello che sanno viene da lì?

E poi c’è il deepfake che (per ridere?) diventa deep nude

Anche qui, si è partiti con un gioco: i deepfake sono foto, video e audio che grazie a software di intelligenza artificiale inseriscono i connotati di una persona reale in contesti e scene di altri, con assoluto realismo. Il deepfake è diventato deep nude: succede che un giorno si è su LinkedIn, e il giorno dopo si sta praticando una fellatio a uno sconosciuto, sotto gli occhi di una platea mondiale. L’anno scorso Sensity.ai, un’azienda di cyber security, ha pubblicato una ricerca internazionale: a fine luglio erano più di 100 mila le donne coinvolte nel furto d’identità, a novembre quel dato era esploso con un +198%. Persone comuni, non celebrities. Erano state prese di mira soprattutto le italiane, le russe, le argentina e le americane: il 70 per cento delle foto venivano dai social e moltissimi profili appartenevano a minorenni.

Ma perché un uomo dovrebbe eccitarsi con un falso porno?

Perché il confine tra vero e falso ha perso di definizione. Se passa il concetto della diffusione non consensuale di materiale intimo di sconosciuti, può passare anche lo scambio di porno taroccato. Pur di tenere agganciati gli utenti alla propria piattaforma, i fornitori di pornografia hanno allargato via via le maglie: prima sono arrivati i contributi amatoriali, poi le specializzazioni estreme, adesso i deepnude. Alla fine, chi fa uso di questi contributi non si pone troppo i problema, purché siano realistici. E a chi ne fa uso in ambito di revenge porn interessa ancora meno: dopotutto, anche qui, si fa solo per giocare, no?

Sul numero di GQ di aprile c'è un'intervista a Fotinì Peluso, la giovane protagonista di Nudes, la serie in 10 episodi in onda su RaiPlay dal 22 aprile. È la versione italiana di un celebre teen drama norvegese. Tema: il revenge porn e gli adolescenti.

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